Platealmente preso in giro sull’Ucraina da Putin, messo all’angolo da Cina, Russia, India e dai paesi emergenti che hanno partecipato a Pechino alla muscolare parata militare di Xi Jinping, una kermesse di armi da fine del mondo che da tutti gli osservatori è stata interpretata come un ultimatum a Washington e all’Occidente, Donad Trump é alle prese in casa col nemico più insidioso: la magistratura degli Stati Uniti, che dai dazi alla guardia nazionale può destabilizzare l’amministrazione. Come sottolinea l’editoriale dell’Agenzia di stampa Italpress.
by Stefano Vaccara
Anche questa settimana americana mostra come Donald Trump spinge ogni giorno i confini del potere, convinto che alla fine sarà la Corte Suprema – la “sua” Corte Suprema – a legittimare ogni mossa. Partiamo da Chicago.

Trump ha ribadito che è pronto a inviare la Guardia Nazionale nella metropoli “in mano al crimine”. Ma un giudice federale della California ha appena stabilito che lo schieramento dei soldati a Los Angeles, quest’estate, era illegale. Nella sua sentenza, il giudice Charles Breyer ha scritto: “L’amministrazione Trump ha violato volontariamente il Posse Comitatus Act, che limita severamente l’uso dei militari per l’applicazione della legge interna”. Una decisione che segna il confine tra ordine pubblico e autoritarismo.
Ma Trump non si ferma e confida nel verdetto finale dei giudici supremi. È la sua strategia: forzare, forzare, e aspettare che lassù qualcuno gli dia ragione.
Intanto, a Boston, un tribunale ha dato ragione ad Harvard nella causa contro l’amministrazione Trump. La Casa Bianca aveva tagliato i fondi accusando l’università di antisemitismo.
Accusa pesante – e Harvard non ha mai negato che episodi di antisemitismo siano un problema nei campus.
Ma la sentenza è chiara: l’esecutivo non può imporre alle università limiti alla libertà di pensiero, di ricerca e di insegnamento.

È una vittoria che si fonda sul Primo emendamento della Costituzione e sulla difesa della libertà accademica. E non è finita: i giudici hanno già bollato come illegali anche gli ordini di Trump sui dazi e contro la cittadinanza per i figli di immigrati nati negli Stati Uniti.
Ma la notizia più potente è arrivata dal Campidoglio. Fuori dalle scalinate, le vittime di Jeffrey Epstein hanno tenuto mercoledì una storica conferenza stampa.
Hanno parlato con coraggio, hanno chiesto giustizia, e soprattutto hanno detto a Trump di smettere di definire la loro lotta una “hoax” (una montatura).
“Questa serve a porre fine alla segretezza ovunque abbia messo radici l’abuso di potere”, ha detto Anouska De Georgiou, una delle sopravvissute.
Questa volta lo scandalo non divide solo l’opinione pubblica: divide il Partito Repubblicano. Sono state soprattutto le deputate GOP a ribellarsi restando accanto alle vittime di Epstein.
Persino Marjorie Taylor Greene, tra le più fedeli a Trump, ha voltato le spalle al presidente gridando al microfono: “Non ho paura di fare nomi… Se mi daranno una lista, entrerò al Congresso e pronuncerò ad alta voce ogni singolo nome di chi ha abusato di queste donne”.
Una domanda aleggia: perché Trump, che durante la campagna elettorale chiedeva trasparenza totale sui file, oggi si oppone alla loro pubblicazione completa? Che cosa teme?
Nessuna vittima lo ha indicato come complice diretto, ma forse nei files tenuti segreti ci sono i nomi di amici, finanziatori, figura chiave per la sua rete di potere?

A tutto questo si é aggiunto lo spettacolo indecoroso dell’audizione di Robert F. Kennedy Jr. al Senato giovedì. L’attuale segretario alla Sanità, da mesi accusato di avere messo i Centers for Disease Control and Prevention nel caos con le sue posizioni anti-vaccini, é stato travolto da domande dure sia da democratici che da repubblicani.
Lo hanno accusato di negare l’accesso ai vaccini, di diffondere la pseudoscienza, di contraddirsi apertamente. Alla fine, la richiesta di dimissioni è sul tavolo. Trump per ora lo difende, ma la domanda é: quanto a lungo resisterà nel proteggere RFK jr?
Intanto, sul piano internazionale, a Pechino si sono presentati insieme leader che rappresentano il fronte più duro: con Xi Jinping e Vladimir Putin, c’erano il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, e persino l’indiano Modi, il leader della più grande democrazia del mondo.
È l’immagine di un “club dei potenti” che si rafforza, mentre l’America appare isolata.
Non è un caso che molti analisti comincino a dire che questa forza attrattiva della Cina cresca grazie alla politica respingente di Trump, dai suoi dazi e dal suo disimpegno con gli alleati storici.
Infine, il Venezuela.Trump ha rivendicato un attacco a una nave mercantile sospettata di traffico di droga, causando 11 morti. Nessuna verifica indipendente, nessuna certezza, solo l’ordine di aprire il fuoco senza avvertimento.
Sembra la ricerca di un casus belli, quasi una guerra preventiva, proprio mentre lo scandalo Epstein lo mette all’angolo. Questo accade in un’altra settimana con Trump al timone dell’America: tribunali che smentiscono la legalità degli ordini del presidente, vittime che sfidano il silenzio, senatori che smascherano un ministro imbarazzante, dittatori che si uniscono altrove.
E’ un Trump che continua a correre sul filo della legalità, puntando tutto sulla Corte Suprema.
La spada di Damocle sulla democrazia americana resta sospesa: se la “sua” Corte dirà no, che farà Trump? E se dirà sì, che ne sarà degli Stati Uniti?
*Stefano Vaccara, Giornalista e scrittore. Nato in Sicilia, a Mazzara del Vallo, cresciuto a Palermo, laurea a Siena e master alla Boston University, da dove ha iniziato a scrivere per Il Giornale di Montanelli. Negli Usa, dove insegna, fonda nel 2013 “La Voce di New York” e dal Palazzo di Vetro, dopo esserlo stato per 10 anni per Radio Radicale, é attualmente corrispondente per l’Agenzia Italpress.