by Gianfranco D’Anna
Primavera del 2026, referendum sulla giustizia: vincerà l’Italia del “vota No, come Falcone e Borsellino”, o il Paese del “vota Sì, come Silvio Berlusconi “?
Prevedibilmente ricca di colpi di scena, la risposta si aggroviglierà per oltre 4 mesi, ma agita già la governance finora senza pensieri per mancanza d’opposizione della maggioranza di governo.

L’esito del referendum turba in particolare gli orfani del Cavaliere che si giocano tutto: passato, presente e futuro, ed il partito di Giorgia Meloni fattosi trascinare malgrado le naturali origini emulatrici di Borsellino e Falcone, nel vortice della contrapposizione alla magistratura.
Paradossalmente per la Lega, risulterebbe invece più agevole la vittoria del no, perché le consentirebbe di archiviare la deriva perdente della segreteria di Matteo Salvini e ritornare alle origini bossiane di partito nordista.

Anm, Pd, Cinque Stelle e Sinistra inseguono il presupposto che per vincere la sfida devono riuscire a convincere gli indecisi e soprattutto smuovere la valanga dell’astensionismo e persuadere i cittadini a mobilitarsi ed andare a votare.
Per i sondaggi infatti, se dovesse recarsi alle urne oltre il 75% dei votanti, il No avrebbe maggiori chance.

Già, come fare per indurre i cittadini a votare? “Moltiplicando gli interventi per spiegare che si vuole creare un sistema giudiziario più rigoroso e intransigente contro i reati della povera società, ma più debole nei confronti dei crimini collegati al potere politico con la progressiva riduzione del principio di uguaglianza di fronte alla legge e la creazione di uno scudo protettivo per i potenti” afferma il Sostituto Procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo Nino Di Matteo, costretto ad una vita sotto scorta per le numerose minacce di morte rivoltegli da cosa nostra e da vari altri poteri criminali.



