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Le lacrime del Colibrì che stregano i lettori

by  Antonino Cangemi

Il verbo “commuovere” è quello più presente ne “Il colibrì” di Sandro Veronesi, che di recente si è aggiudicato il Premio Strega.

Ciò non stupisce, perché, leggendo il romanzo, Veronesi dà l’impressione di averlo scritto con un proposito preciso: commuovere i lettori; commuoverli ad ogni costo e con tutti i mezzi, anche quelli non proprio consoni ai canoni di un’estetica letteraria che ci si augura continui a sopravvivere.

Infatti Marco Carrera, il protagonista del romanzo, nel corso della sua vita attraversa tutte le peripezie possibili e immaginabili, dividendole, unitamente ai più lancinanti dolori, con i familiari, amici, amanti.

Lui è il colibrì, così è chiamato da ragazzo perché è piccolo di statura ancorché bello nella sua corporatura armonica; e lo è ancor di più per la sua predisposizione a rimanere fermo mentre il tempo con le sue infinite sventure gli scorre accanto. A Marco manca il coraggio per dare una svolta alla sua vita, ma la vita sa cambiare da sola attorno a lui, e sempre in peggio.

“Il colibrì” è il romanzo delle disgrazie: si succedono una dopo l’altra, e con esse le depressioni, le crisi esistenziali, le difficoltà relazionali dei vari personaggi che lo popolano; disgrazie di ogni tipo, ma sempre commoventi, almeno nelle intenzioni dell’autore. A conferma dello spirito del romanzo, che certamente non induce all’allegria, vi è un personaggio scopiazzato da Pirandello: Duccio Chilleri, detto “l’Innominabile”, capace di causare un disastro aereo con un buon bottino di morti, che sfrutta il suo talento di portatore di sfiga per guadagnarsi da vivere.

Il finale, che non sveliamo per chi voglia avventurarsi nella lettura del romanzo spinto da istinti autolesionisti o per correggere, novello dottor Pangloss, la propria inclinazione all’ottimismo, è il più cupo che si possa immaginare; e anzi lo si potrebbe definire, per la sua dimensione corale, una sorta di inno all’infelicità.

Occorre chiedersi tuttavia se il romanzo raggiunga il suo fine. Commuove davvero? E in che misura? Dipende dai lettori. Quelli che si sono nutriti dei classici della letteratura, che sanno assaporare il “bello” dell’espressione artistica, non si commuoveranno, né si faranno ingannare da alcune pagine in cui Veronese sfoggia la sua destrezza artigianale nell’uso delle parole; costoro – consapevoli che la qualità estetica non può prescindere dall’equilibrio, dall’armonia e dalla misura e che anche nelle opere più “estreme” vi è rigore e severo autocontrollo –   comprenderanno sin dalle prime pagine quanto “Il colibrì” sia un romanzo pretenzioso e artificioso.

Chi invece non ha mai letto, né si sogna di leggere, Anna Karenina o l’Idiota, e non si perde gli ultimi best seller di un’industria editoriale votata solo al profitto cadrà nella trappola tesagli da Veronesi: si emozionerà credendo che in quelle pagine scorra il dolore della vita e non una sua sbiadita e artefatta rappresentazione.

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Gianfranco D'Anna
Gianfranco D'Anna
Fondatore e Direttore di zerozeronews.it Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Tg1 e Rai Palermo al maxiprocesso a cosa nostra. Ha fatto parte delle redazioni di “Viaggio attorno all’uomo” di Sergio Zavoli ed “Il Fatto” di Enzo Biagi. Vincitore nel 2007 del Premio Saint Vincent di giornalismo per il programma “Pianeta Dimenticato” di Radio1.
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