“Sicilia bedda mia, Sicilia bedda…” cantava Franco Battiato. Dietro ogni mistero siciliano, le famose “verità negate”, dietro lo scontro politico sulla memoria, persino dietro le polemiche dell’Antimafia, c’è anche una questione cruciale che si chiama “appropriazione indebita” di una cultura.
Di che si tratta? È quella stessa cosa che fa dire legittimamente ad ogni minoranza del mondo “é meglio che si sia noi a parlare di noi stessi”, anche perché ogni usurpazione della “narrazione” sulla Sicilia altrimenti risulterà sempre fallimentare. Invece, da decenni, questa “isola del mito, del true crime e degli dei” é stata assaltata inefficacemente da estranei, distorcendone immagine ed esistenza, anche per colpe e incapacità di noi siciliani, per l’abitudine a farci colonizzare anche le nostre storie e per la rassegnazione ad avere sempre una sovranità, persino culturale, limitata. È la sindrome della colonia e del “chiunque viene ci é padrone”.
Questo fenomeno diffusissimo (chiunque saccheggia la Sicilia, in assenza di altre storie da raccontare, si avvale del teorema di Orson Welles sull’Italia: qui, diceva Welles, avete avuto il pur violento Rinascimento, ma con la violenza anche l’arte, mentre in Svizzera hanno inventato solo gli orologi a cucù) fa anche perdere la percezione di ogni cambiamento. E questo è un dramma. La Sicilia, agli occhi del colonizzatore culturale, é sempre immobile.
In una lingua parlata o scritta, per esempio, le novità si definiscono “sensazioni differenziali” o “sensazioni della diversità”. Cosa vuol dire? Si tratta di “digressioni” o trasgressioni dall’usuale e dal normale, da un qualche canone fattosi desueto, novità che si diffondono gradualmente, creando una sensazione di fresca “dissomiglianza” con il passato, e che rinnovano la comunicazione e certe volte persino l’arte.
Cefalù
Palermo
Catania
Queste “sensazioni differenziali” sono piccole deviazioni dall’usuale nella scelta delle espressioni, per esempio, nella combinazione delle parole, nella disposizione delle frasi. Ma questi piccoli cambiamenti, in una lingua, possono essere avvertiti solo da chi vive nell’elemento di quella lingua specifica e che, grazie alla piena conoscenza della norma, viene immediatamente colpito da ogni deviazione da essa e la sente nella sua pelle, quasi fosse una irritazione cutanea. Lo stesso vale per le regressioni verso il passato.
Etna in eruzione
Ma attenzione. Ogni deviazione, ogni cambiamento, può essere avvertito solo da chi ha familiarità con quella lingua, essendo la sua lingua materna. Per questo ogni cambiamento e ogni piccola deviazione dal consueto li avvertirà come una sensazione sensibile, epidermica, ben oltre ogni ragionamento astratto.
Chi non é nato e non vive in quella lingua, questi cambiamenti e queste sfumature non può cogliere mai. E questo é grave, perché in una lingua un certo grado di distinzione dall’usuale può a sua volta diventare il punto di partenza per altre “deviazioni” dall’usuale, ovvero può diventare una catena di grandi cambiamenti.
Se invece non cogli alcun cambiamento, avrai sempre una innaturale sensazione di eterna immobilità e questo é ciò che trasmetterai. Per sfuggire da questa trappola, infine, non basta affatto la retorica.
Ora, al posto della lingua metteteci la storia, la vita, i rapporti tra noi e tra noi e la storia, e vi accorgerete che é lo stesso e che questa parabola della lingua, a proposito della Sicilia, é solo una metafora.
Chi viene da fuori e ci racconta senza l’umiltà e la pazienza di immergersi veramente nella “sicilitudine” (per fortuna ci sono le eccezioni) sbaglierà sempre il racconto, mancherà il bersaglio, gli mancheranno irrimediabilmente profondità, percezione dei cambiamenti e sfumature. E in Sicilia i dettagli sono tutto.
Non é tanto perché siamo vecchi di secoli e ci sentiamo il sale della terra, stavolta. Ma perché essendo noi nati in un luogo e in un tempo definiti, figli di questa lingua, sappiamo cogliere di noi ogni sfumatura, ogni mutazione. E a furia di cogliere minuzie di novità siamo cambiati e potremmo ancora cambiare.
Il sudario di immobilità dentro cui ci leggete e ci scrivete voi stranieri a cui apriamo la porta, senza sapere che siete spesso usurpatori e ladri nella notte, invece ci soffoca e condanna all’immobilismo. Servono ponti, non invasioni.
Pirandello
Tomasi di Lampedusa
Sciascia
Perché allora non narrate i vostri orologi a cucù e lasciate noi nel nostro piccolo paesino a chiederci come mai qui sono nati Gorgia Empedocle, Natoli, Tomasi, De Roberto, Brancati, Saladino, Perriera, Verga, Borgese, Maria Messina, Sapienza, Sciascia, Bufalino, Consolo e Pirandello, oltre che Cosa Nostra siciliana?
Brancati
Consolo
Perriera
Perché, sapete, vorremmo piantarla una volta per tutte di essere il vostro giardino di delizie e dell’orrore, che tanto poi voi ritornate sempre a casa a regolare l’orologio a cucù e invece noi restiamo, di scoglio o di mare che si sia, in questo rovello come una condanna…
In quale altra terra d’Italia chi scappa non se ne é mai andato e chi resta fugge sempre?
Palermitano, Giornalista professionista, per molti anni viceredattore capo de “Il Venerdì di Repubblica”, si occupa di attualità e cultura. Ha seguito per il giornale “L’Ora” di Palermo la guerra di mafia e il primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Con “la Repubblica” ha aperto le redazioni locali di Napoli e Palermo ed é stato viceredattore capo della cronaca di Roma. È autore, con Francesco Vitale, del libro Vivi da morire (Bompiani 2015).