Il 23 maggio e il 19 luglio sono stati commemorati con cerimonie e passerelle Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due eroi dei nostri tempi.
Giusto, se non fosse per certe facce di bronzo che avrebbero fatto meglio a starsene lontane anni luce. Ma vabbé.
Rocco Chinnici
Mi chiedo, però, perché debbano essere in tono minore le cerimonie organizzate in memoria di Rocco Chinnici, ucciso da un’autobomba esattamente quarantadue anni fa, il 29 luglio del 1983, in via Pipitone Federico, con due agenti della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portiere del palazzo in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi.
Chinnici non era una figura secondaria della magistratura. Tutt’altro. Era il capo dell’ufficio istruzione, il motore di tutte le inchieste, aveva intuito prima degli altri colleghi che il lavoro di squadra sarebbe stato fondamentale per una più efficace lotta alla mafia, aveva costituito il primo nucleo del pool antimafia chiamando nel suo ufficio Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello.
Un giudice raffinato, coraggioso, incorruttibile. Il nemico più pericoloso dei macellai di cosa nostra, impegnato in prima linea proprio negli anni più infuocati della storia di Palermo, quando in città si contava almeno un morto ammazzato al giorno, con i corleonesi padroni del campo.
Palermo 29 luglio 1983: le immagini della strage di via Pipitone Federico
Diciamo la verità. Chinnici é scomparso dalla memoria collettiva. Meriterebbe un monumento ma non gli hanno neppure intitolato una strada.
Oggi sarà una giornata quasi come le altre. Insipida, vuota. Non so guanti ricorderanno il magistrato che ha spianato la strada a Falcone e Borsellino, non so quanti ammetteranno che tanti successi contro la mafia portano il suo nome. Il nome di un eroe civile colpevolmente dimenticato.
*Enzo Mignosi, giornalista e scrittore, per quasi quaranta anni firma del Corriere della Sera e del Giornale di Sicilia.