Rocco Chinnici, Magistrato. Al di là della retorica degli anniversari, Rocco Chinnici andrebbe innanzi tutto commemorato come Magistrato, come esempio di impegno civile e come stratega della lotta contro la mafia.

Un Magistrato forgiatosi nell’esperienza delle preture nei comuni di provincia e che anche ai vertici dell’Ufficio Istruzione di Palermo non aveva mai perso il particolarissimo e autentico tratto di umanità e di compassione.
Oltre ad essere stato il padre del pool antimafia fu fra i primi ad intuire l’importanza del coinvolgimento delle scuole nell’opera di sensibilizzazione antimafia e antidroga. Una sensibilizzazione destinata ad azzerare il cosiddetto consenso sociale delle cosche e la diffusa omertà.
Fra i tanti meriti, mai abbastanza riconosciuti a Rocco Chinnici, ve ne sono due di enorme importanza:
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fu il primo a valorizzare le capacità di Giovanni Falcone, appena trasferito a Palermo da Trapani a cavallo del 1980, e ad affidargli le indagini sul caso Spatola. Non una scelta casuale, ma specifica: Chinnici aveva intuito che l’evoluzione della mafia correva soprattutto lungo i canali economici degli appalti e affidò le indagini sul costruttore emergente Rosario Spatola al neo giudice istruttore Falcone che proveniva dalla sezione fallimentare del Tribunale di Trapani e aveva esperienza di indagini finanziarie.

foto segnaletiche dell’arresto di Ignazio e Nino Salvo -
Il cardine dell’azione giudiziaria di Chinnici fu l’individuazione dei legami fra la mafia e taluni ambienti finanziari. Dall’intuizione che i boss per riciclare i proventi degli appalti e della droga avessero bisogno di servirsi di banche e canali finanziari, Chinnici arrivò ai cugini Ignazio e Nino Salvo, i signori delle esattorie regionali, e a Michele Sindona che proprio nel 1979 dopo il fallimento della sua banca internazionale fuggì da New York, inscenò un finto rapimento e si rifugiò in Sicilia, ospite di mafiosi e massoni.

Michele Sindona
Intuizioni e inchieste dirompenti. Come evidenziano il contesto e i cui prodest che si intravedono dietro l’auto bomba utilizzata per uccidere il 29 luglio del 1983 Rocco Chinnici. A descrivere lo scempio della deflagrazione è un testimone diretto ed unico, miracoloso, sopravvissuto alla strage, perché al momento dell’esplosione si trovava all’interno dell’alfetta blindata, l’allora 27enne autista giudiziario Giovanni Paparcuri.

Da testimone Paparcuri si è trasformato in curatore del bunker museo all’interno del palazzo di Giustizia di Palermo, dove lavorava il pool antimafia creato da Chinnici con i giudici istruttori Falcone, Borsellino, Guarnotta, De Francisci e Di lello.
Quello di Via Pipitone Federico fu un attentato innovativo anche per cosa nostra, che fino ad allora aveva utilizzato le Giuliette imbottite di tritolo. L’autobomba fatta esplodere mentre Rocco Chinnici appena uscito dal portone del suo palazzo stava per salire sull’auto blindata, è infatti la prima a essere radiocomandata. “Palermo come Beirut” titolarono non a caso i giornali, perché le indagini erano già state indirizzate ( o depistate ?) verso un indecifrabile personaggio libanese Bou Chebel Ghassan.

