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Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa risalente ai Beati Paoli

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Rubrica di critica recensioni anticipazioni

I cardini del pensiero Socrate Buddha Confucio Gesù

 

by Antonio Borgia

Qual é l’origine della mafia siciliana denominata cosa nostra, divenuta così potente da dichiarare guerra allo Stato italiano alla fine dello scorso secolo tanto da determinare la mobilitazione legislativa, investigativa e giudiziaria che l’ha poi pesantemente ridimensionata ?

La convinzione sempre esistita nell’organizzazione criminale, tramandata di padre in figlio, nonché confermata dalle dichiarazioni di alcuni importanti pentiti come Tommaso Buscetta e Antonino Calderone, é quella che sia da ricondurre alla setta dei Beati Paoli, operante nella Sicilia occidentale nei secoli precedenti. Buscetta, addirittura,  ha processualmente sottolineato che scopo dei mafiosi, come gli antesignani, sarebbe stato quello  di «proteggere i deboli ed eliminare le sovercherie»,

Sarà vero? Proviamo a illustrare le fonti storiche.

Due codici medioevali, la Breve Cronaca di un Anonimo Monaco Cassinese e  l’altrettanto anonima Cronaca di Fossanove, collocano, nel 1185 il primo e nel 1186 il secondo, la comparsa in un luogo del Regno di Sicilia di un’associazione di cosiddetti Vendicosi che il re punì duramente con  l’impiccagione e varie altre condanne.

Nel 1784, l’abate danese Friedrich Munter visitò la Sicilia e riferì che a Trapani aveva sentito parlare di una Confraternita di San Paolo, costituita nel XVI Secolo, che giudicava sulla condotta dei magistrati e dei concittadini; difendeva e vendicava vedove, orfani e oppressi; si radunava, valutava e poi emetteva la sentenza, quasi sempre sanguinosa, eseguita da uno dei suoi membri.

Nel suo libro Viaggio in Sicilia scrisse di aver appreso come, in Palermo, quella società si riunisse in grotte sotterranee.Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa dei beati paoli

Pochi anni dopo, venne riprodotto il libro Histoire Generale de Sicile del francese Jean Levesque De Burigny riguardante anche i Vendicosi, con la traduzione e il commento del palermitano Mariano Scasso il quale segnalò la convinzione popolare che la setta denominata I Beati Paoli fosse una delle rinnovate manifestazioni, nel corso dei secoli, dei citati Vendicosi medioevali.

Nel frattempo, il tedesco barone di Riedesel, visitata la Sicilia nel periodo marzo-maggio 1767, pubblicò il resoconto dei suoi spostamenti (Viaggio in Sicilia), accennando alla confraternita chiamata di San Paolo, esistente in Trapani, che giudicava gli atti di ogni singolo abitante della città, condannava ed eseguiva, immediatamente, sentenze di morte.

Le due versioni del Riedesel e del Munter sono i primi documenti, in assoluto, sulla Setta dei Beati Paoli, le cui gesta furono collocate a Trapani e Palermo.

Nel 1790, lo scrittore Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca, compilò i Diari palermitani, sostenendo l’effettiva esistenza dei Beati Paoli.

Villabianca riteneva che la società segreta fosse nata dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che amministravano la giustizia criminale nei loro territori, attesa la carenza dello Stato, nonché dalla conseguente “richiesta” del popolo.

Nel 1835, Gabriele Quattromani, un ufficiale napoletano che prestava servizio nelle truppe borboniche di stanza in Sicilia, avvalorò l’esistenza della setta, segnalandone l’obiettivo di punire quei colpevoli che «le leggi o il favore rimaneano impuniti» nonché il luogo ove si riuniva: un sotterraneo di San Giovanni della Guilla, in pieno centro storico di Palermo (ora via dei Beati Paoli).

Munter e Quattromani accostarono i Beati Paoli al Tribunale segreto Vestfalico o della Santa Vehme, una delle misteriose istituzioni del Medioevo, composto da giudici con particolari doti di onestà e rettitudine, esistito in Germania dal XIII al XVIII secolo, avente il compito di vigilare sull’operato di persone malvagie.

L’unico referente della Santa Vehme era l‘Imperatore, che diede sempre carta bianca a questo Tribunale, conferendo ai suoi giudici il potere di vita e di morte sugli imputati. Ben presto, però, sfuggì al controllo del sovrano, commettendo anche atrocità che sancivano vendette private più che la giustizia. Fu abolito dal re di Westfalia -Girolamo Bonaparte – nel 1811.Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa dei beati paoli

Anche l’origine del nome Beati Paoli é incerta.

La spiegazione più verosimile é quella che si deduce da un racconto popolare riportato dal Pitré: uomini che si mostravano devoti e che, di giorno, andavano vestiti come monaci di San Francesco di Paola (ordine dei Minimi) nonché stavano nelle chiese, fingendo di recitare il rosario; la notte, poi, complottavano su ciò che avevano visto e saputo ed ordinavano le vendette.

A tal proposito, non bisogna dimenticare che l’appellativo beato o beata viene ancora attribuito in molti paesi della Sicilia ai bigotti e, in genere, a coloro che indugiano, fuori del consueto, in assidue pratiche religiose.

Nella memoria siciliana, comunque, resiste la tradizione popolare e letteraria che considera quella setta come un momento significativo della storia isolana.Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa dei beati paoli

Molti studiosi hanno, anche, cercato di individuare il luogo preciso della grotta sotterranea ove si svolgevano le riunioni.

Si ritiene che si accedesse da una casa, ora semidistrutta, sita nella via detta dei Beati Paoli, in prossimità della Chiesa di S. Maria di Gesù di Palermo.

La cavità, attualmente murata, era probabilmente collegata, attraverso tortuosi cunicoli, ad altre cripte dalle quali facilmente si poteva uscire in aperta campagna, oltre la cinta muraria.

La formazione della leggenda dei Beati Paoli, tramandata dalla coscienza popolare, è stata poi resa permanente dal famoso romanzo popolare di Luigi Natoli, scritto nel 1910 con lo pseudonimo di William Galt, forse il libro più letto in Sicilia.

Per gli abitanti del quartiere del Capo, che per tradizione si ritenevano i legittimi discendenti della setta, il romanzo divenne, al contempo, sillabario e testo sacro, da leggere la sera ai figli.

Il romanzo di Natoli, da alcuni, é stato anche considerato come una sorta di Bibbia della mafia siciliana, con un indubbio effetto sulla rappresentazione dell’organizzazione (e formazione del suo mito) e della connessa mentalità.Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa dei beati paoli

Il romanzo ha al centro una setta segreta, presieduta dal nobile Coriolano della Floresta, che funge da tribunale, con una giustizia parallela, a cui si rivolgono coloro che hanno subito torti che non possono essere riparati dalla giustizia ufficiale, al servizio dei potenti.

La vicenda dei Beati Paoli é, certamente, stata utilizzata dai mafiosi per legittimare la violenza e costruire attorno alla figura dell’appartenente all’organizzazione la fama dell’«uomo d’onore» in grado di mantenere l’ordine, amministrare la giustizia all’occorrenza e in sostituzione delle Istituzioni assenti.

Ciò occorreva per creare quel necessario consenso culturale della popolazione che potesse consentire all’organizzazione criminale di imporre le proprie regole, anche se violente, e farle rispettare facilmente, al fine di ottenere la imprescindibile legittimazione.

Ad oggi, quindi, non vi alcuna certezza sull’effettiva esistenza della citata setta anche perché i famosi viaggiatori che hanno scritto su di essa non hanno fornito prove, limitandosi probabilmente a riportare le innumerevoli “voci” acquisite nelle varie città visitate.

Ciò che risulta innegabile, invece, é la permanente attrazione esercitata sui tanti turisti che si recano nel capoluogo siculo, la cui curiosità viene soddisfatta da un tour serale di cunicoli e catacombe, seguendo passi del romanzo di Natoli, il tutto organizzato per far rivivere una grande storia divenuta ormai leggenda in terra di Trinacria. Vendette e omertà la leggenda della genesi mafiosa dei beati paoli

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Antonio Borgia
Antonio Borgia
Generale in pensione della Guardia di Finanza, ha prestato servizio in Sicilia dal 1979 al 1996, nel pieno della guerra di mafia e delle stragi di cosa nostra. Ha collaborato con diversi magistrati a Trapani e Palermo quali Dino Petralia, Ottavio Sferlazza, Carlo Palermo ed i Pm della DDA di Palermo allora guidata dal Procuratore Giancarlo Caselli, in particolare Alfonso Sabella. Attualmente é editorialista della Gazzetta di Asti.
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