La Modernità ha spezzato in tre l’approccio dell’essere umano al mondo: l’intuizione mistico-poetica, il ragionamento filosofico, la misurazione scientifica.
Dal Seicento a l’altro ieri i tre mondi, separati anche nell’ordinamento accademico, si sono guardati in cagnesco o – peggio ! – si sono ignorati.
Il recente, appassionato e appassionante, libro di Claudia Fanti, A casa nel cosmo. Per una nuova alleanza tra spiritualità e scienza (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2025), dimostra, con una messe di esemplificazioni, che da alcuni decenni non è più così.
Le scienze “dure” (fisica e biologia in primis), dopo aver saltato brillantemente molti ostacoli, si sono trovati davanti degli interrogativi radicali: come ha avuto origine questo universo così immenso? Come si è formata, a un certo momento, la vita? Come alcuni viventi sono diventati coscienti di sé?
I filosofi (che, perduta la fiducia nella possibilità di saper rispondere a queste domande così impegnative, si sono quasi del tutto rassegnati a fare soltanto gli storici della filosofia) sono costretti a optare: o fare finta di nulla (lasciando agli scienziati il compito di rispondere, con gli attrezzi scientifici, a domande meta-scientifiche) o svegliarsi dal sonno scettico e ritornare al loro compito primario: ascoltare con docilità le acquisizioni più attendibili delle scienze e, senza contraddirle spocchiosamente, osare andare oltre in direzione di visioni complessive più ampie.
In questa (eventuale, ancora solo incipiente) alleanza, fra ricerca scientifica e riflessione filosofica, c’è posto anche per la teologia di matrice biblica e coranica?
Dipende da come si auto-interpreta. Se essa pretende di offrire un sovrappiù di conoscenze, un patrimonio di verità oltre-umane, non può che rassegnarsi all’irrilevanza progressiva. Non così, invece, se essa – scavando con cura nei suoi Testi fondatori e nella sua Tradizione bimillenaria – riscopre la sua ricchezza più profonda: che non è di ordine teoretico, esplicativo, ma etico, performativo. Se essa riscopre l’oggetto del suo studio – l’esperienza religiosa dell’umanità – come riserva di “spiritualità”.
Il libro di Claudia Fanti prova a fare chiarezza, in larga misura riuscendovi, su questi intrecci. Con un’informazione rigorosa, ma tradotta in linguaggio fruibile anche dai non specialisti, l’autrice dà conto delle attuali teorie cosmologiche che – oltre alcuni dati abbastanza accertati: l’universo attuale ha circa 13 miliardi e mezzo di anni – offrono ipotesi più o meno plausibili (revisioni e aggiornamenti del Bing Bang o teorie radicalmente nuove come l’esistenza di pluriversi sia contemporanei che in successione cronologica, ammesso che si possa parlare di tempo anche fuori dal nostro universo). Comunque “l’inizio dell’universo è qualcosa che è al di fuori della portata della nostra mente. È un miracolo che non si può eliminare”.
Fanti fa il punto anche sulla seconda questione radicale delle scienze contemporanee : la comparsa della vita. Si passa dai minerali ai viventi in forza di una causalità per cui i fenomeni più semplici possono causare fenomeni più complessi oppure perché nel nostro universo si danno dei “comportamenti emergenti” e imprevedibili?
L’esame dell’universo in generale non può prescindere dal caso singolare costituito non solo dal vivente, ma più precisamente del vivente cosciente (o addirittura auto-cosciente).
Il dato empirico incontrovertibile è che siamo dotati di un cervello: ma è ovvio che tale “turbinio di particelle dentro un cranio” crei “impressioni, sensazioni e sentimenti”? No, questo è piuttosto il terzo enigma fondamentale di chi fa oggi ricerca scientifica rigorosa.
Ritroviamo anche qui gli schieramenti principali incontrati sulle due questioni precedentemente evocate: un orientamento riduzionista o fisicalista secondo cui “la coscienza è prodotta dal cervello, a sua volta controllato dalla fisica e dalla chimica” e un orientamento alternativo (che potremmo qualificare irriducibilista o complessivista) basato sulla convinzione che “l’attività cerebrale in sé non è in grado di spiegare la coscienza”.
Il libro si conclude (se di conclusione si può parlare per un’autrice che dichiara di essere ancora in ricerca) evidenziando la valenza esistenziale, etica e politica (con un solo termine, da intendere però nell’accezione più ampia e meno confessionale possibile, “spirituale”): perché per lei conoscere è già un valore in sé, ma è anche il presupposto indispensabile per assumere la postura più adatta in relazione agli altri esseri viventi, gravemente feriti dalla follia dell’homo demens che arriva a minacciare la loro e persino la propria sopravvivenza.
E non a caso cita l’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo: “solo con una visione nuova si potrà porre rimedio, se riusciremo ad arrivare in tempo, all’ecocidio”.