by Gianfranco D’Anna
Le indagini rivelano che dal carcere i boss di cosa nostra e della ‘ndrangheta dirigono e gestiscono le attività criminali che si svolgono all’esterno, dalle estorsioni al traffico di stupefacenti.
Le mafie hanno trasformato i penitenziari nei loro quartier generali. E’ un allarme che il Procuratore Nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo ripete al palazzo di Giustizia di Palermo al convegno “La mafia e il carcere” promosso nell’ambito delle commorazioni del 33esinmo anniversario della strage di Capaci, ma é lo stesso allarme che lancia da mesi fra l’indifferenza del Ministero della Giustizia e della politica.
Nell’allarme – denuncia c’è tutta la preoccupazione per ‘ndrangheta e cosa nostra che ormai permeano il sistema carcerario, al punto che «il regime dell’alta sicurezza é in mano alla criminalità» dice Melillo. Il sistema del 41 bis soffre della diffusa incapacità dell’alta sicurezza di contenere le cariche della pericolosità sociale di quelle aree di detenzione.
Per Melillo “il ricorso al carcere duro potrebbe essere significativamente ridotto, anche della metà, se l’alta sicurezza desse garanzie di affidabilità che invece non è in grado di assicurare”. Per il Procuratore nazionale antimafia occorre una urgente riflessione istituzionale per ripristinare un rigido controllo di legalità sull’intero sistema carcerario.

Un’autoanalisi che coinvolga il Ministero della Giustizia, il Dap, la magistratura di sorveglianza, vertici dei tribunali, il Csm e soprattutto la politica. Un’autoanalisi per rispondere intanto agli inquietanti interrogativi posti dalla concessione, dall’inizio dell’anno, di ben 200 permessi premi a detenuti condannati per mafia, alcuni dei quali boss di spicco. Un dato denunciato dalla Presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo. Ma contemporaneamente é essenziale, per Melillo, monitorare attentamente le carceri per prevenire la continuazione dell’attività criminale da parte dei detenuti, in particolare i boss mafiosi attraverso l’uso di telefonini criptati.
“Guardate che nelle carceri si comunica esattamente come fuori dalle carceri “ sottolinea al convegno in memoria di Giovanni Falcone il Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, che aggiunge :” é una emergenza sulla quale bisogna decidere: o mettiamo il wi-fi a disposizione di tutti i detenuti oppure le carceri, almeno quelle ad alta sicurezza, devono essere schermate. Il personale di Polizia penitenziaria se ne farà una ragione, e finalmente avremo delle carceri degne di questo nome”. Inoltre per il Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo “in carcere devono andarci i soggetti pericolosi, da qui l’esigenza di una riforma della pena. Per gli altri bisogna individuare circuiti di recupero”.

De Lucia é tranchant: “serve un minimo di serietà nel sistema – dice – altrimenti continueremo a fare convegni su questi argomenti, ma quella attuale nelle carceri é una situazione estremamente grave”.
L’altissimo rischio determinato dalla possibilità per i capimafia di impartire ordini dal carcere é evidenziato, oltre che dalla diffusione degli smartphone, dai droni che sempre più frequentemente di notte sorvolano le strutture penitenziarie per portare a ridosso delle celle telefoni e droga, ma che all’occorrenza potrebbero consegnare anche armi ed esplosivi.
Secondo fonti ufficiose vi sarebbero già 37 istituti equipaggiati con sistemi anti drone fissi o mobili ed altri penitenziari hanno jammer mobili che impediscono le comunicazioni con l’esterno.
Jammer però difficili da collocare quando il carcere é vicino a zone abitate come a Milano, a Napoli o a Palermo. Inoltre – sempre secondo dati ufficiosi – sarebbero stati distribuiti quasi 6mila tra metal detector manuali e a portale e dispositivi per il controllo pacchi a raggi X.
Ma allora come fanno le mafie a eludere i controlli, analogamente a quanto avviene nei paesi dell’America latina epicentro dei narcos?

A proposito di criminalità e detenzione transnazionale, il Procuratore della Repubblica di Roma, Francesco Lo Voi, ha evidenziato come nel sistema penitenziario degli Stati Uniti i padrini della mafia siculo americana e i detenuti pericolosi siano sottoposti a controlli ineludibili che impediscono totalmente ogni contatto con l’esterno.
“Ecco perché – sottolinea Lo Voi – nella patria di mafia e ‘ndrangheta é essenziale mantenere il sistema restrittivo attuale con una maggiore attenzione ad evitare le violazioni che consentono di continuare a delinquere anche dentro il carcere”.
Le carceri trasformate in quartier generali dei capimafia, oltre a rappresentare un’emergenza giudiziaria, provocano anche crescenti vulnus democratici perché determinano situazioni di insicurezza e di mancanza di garanzie per l’intera società civile esposta a violenze, atti criminali e intensificazioni di traffici gestiti e pilotati, con le spalle coperte, dall’interno di una insospettabile,e per i cittadini impenetrabile, cinta muraria penitenziaria istituzionale.
”Se vuoi la sicurezza totale, vai in galera. Ti danno cibo, vestiti, cure mediche e così via “ diceva a proposito della copertura difensiva assoluta dei cittadini, il Presidente americano Dwight Eisenhower.
Nessuno poteva immaginare allora che cosa nostra e ‘ndrangheta avrebbero trasformato in un vantaggio di posizione condanne e detenzioni.