Deglobalizzazione forzata in corso. Un nuovo traumatico dopoguerra, con ingenti macerie economiche e sociali da rimuovere. Questo il quadro che, a grandi linee, si prospetterebbe per l’Italia e per l’Europa nella fase del dopo coronavirus.
Un the day after sul quale si interrogano economisti e analisti finanziari. La paralisi produttiva e dell’interscambio commerciale ha già innescato una progressiva contrazione della crescita economica. “ E’ indubitabile che ci saranno delle conseguenze strutturali, soprattutto per il nostro Paese” afferma l’editorialista ed economista Enrico Cisnetto.
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Si può parlare di deglobalizzazione, ovvero del superamento della interdipendenza economica attraverso l’incentivazione dei mercati locali?
Sono coloro che sono ideologicamente contrari alla globalizzazione che oggi affermano, sperando che sia vero, che il coronavirus seppellirà la globalizzazione. Ma non è vero. Credo sia necessario essere cauti. Come abbiamo visto, l’esplosione dell’epidemia in una regione cinese ha progressivamente avuto effetti sul resto del pianeta. E molti altri ne avrà ancora, sia sotto il profilo sanitario, ma soprattutto in ambito economico. Anche perché ai tempi della Sars la Cina rappresentava il 4% del pil mondiale, mentre adesso arriva al 16%. Ad oggi abbiamo raggiunto dei livelli di interconnessione tra le diverse aree del pianeta che si potranno forse modificare, aggiustare, potranno prendere forme diverse, ma è difficile, se non impossibile, tornare indietro. Basta pensare ai nostri legami con l’Europa, per non dire delle filiere manifatturiere che sono ormai strutturalmente transnazionali.
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E un effetto transitorio? E cosa comporterà complessivamente nei rapporti economici internazionali ed europei?
È difficile prevedere l’evoluzione della situazione, come anche dei rapporti economici internazionali ed europei. Non ho elementi sufficienti per prevedere la durata dell’emergenza sanitaria, però a livello economico è indubitabile che ci saranno delle conseguenze strutturali, soprattutto per noi. Stavamo molto peggio degli altri già prima che esplodesse l’emergenza, per cui è lecito prevedere che ne soffriremo in maniera particolare. Infatti, è dagli anni Novanta che cresciamo meno degli altri e da tempo siamo in sostanziale stagnazione; inoltre, abbiamo sofferto due recessioni e in una terza ci stavamo già infilando con la decrescita di fine 2019 e inizio 2020. Adesso è prevedibile un rallentamento, se non una recessione globale, per cui non possiamo che essere preoccupati. Tanto più che quando il mondo cresce noi stiamo fermi, mentre quando l’economia mondiale frena noi arretriamo. Se anche sarà transitorio, e me lo auguro, il contraccolpo rischia di avere vita lunga per quanto riguarda i nostri rapporti con il resto dell’Europa e del mondo.
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Come reggerà l’Italia?
Già adesso il colpo è pesante. E la nostra capacità di reazione dipenderà dalle risposte che saremo in grado di dare. Temo che le misure di contenimento adottate dal governo per limitare la diffusione del virus siano un pannicello caldo. Ma certo a livello economico è ipotizzabile già da adesso una recessione simile a quella del 2008, ma che potrebbe anche essere peggiore, visto che quella è stata una crisi principalmente dal lato della domanda, mentre questa potrebbe colpire la capacità produttiva delle nostre aziende. Per cui se non si mette in campo una terapia shock di investimenti pubblici, il Paese potrebbe non reggere ed avere gravi difficoltà a rialzarsi.
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Meglio o peggio rispetto ai partners europei e in quali settori ?
In un settore come il turismo per adesso riscontriamo i problemi maggiori, come anche nei trasporti, nella logistica, nelle attività ricreative. Ma ci si potrà riprendere e se l’epidemia dovesse estendersi anche al di fuori dell’Italia, i problemi saranno simili anche altrove. Tuttavia durante questi anni, pur non avendo ancora recuperato i livelli precedenti alla crisi del 2008, siamo rimasti in piedi solo grazie all’export, cresciuto più di tutti, anche di quello tedesco. Ora rischiamo di perdere tutto il lavoro fatto, che è stato eccelso, poiché l’impatto negativo è più sul lato dell’offerta, dell’organizzazione della produzione, che su quello della domanda interna. Per cui c’è il rischio che dopo aver perso quote di mercato e capacità produttiva, quando finirà l’emergenza, il nostro tessuto imprenditoriale e la nostra manifattura saranno talmente debilitate da non riprendersi. Con le aziende estere che andranno a comprare da altri senza tornare più da noi. Ecco, considerando che già prima che si diffondesse l’epidemia eravamo i più debilitati, l’Italia potrebbe reggere meno degli altri, soprattutto in settori quali la moda, l’automotive, i macchinari industriali, che necessitano un aggiornamento tecnologico in chiave digitale.
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Basterà un new deal per le infrastrutture e il rilancio dell’artigianato, dell’economia agricola e soprattutto del lavoro a domicilio?