Se, come sostiene lo scrittore Nobel per la letteratura Gabriel García Márquez, tutti gli esseri umani hanno tre vite: pubblica, privata e segreta, i Governi e gli apparati statali hanno una inconfessabile molteplicità esistenziale.
Non si spiegano altrimenti gli anni luce di differenza fra uno dei più grandi successi dell’intelligence israeliana e contemporaneamente del più catastrofico e tragico fallimento degli stessi servizi segreti di Gerusalemme.
Il Mossad il servizio segreto israeliano con funzioni di spionaggio e controspionaggio e lo Shin Beth che si occupa della sicurezza interna sono stati protagonisti di eventi talmente contrastanti fra di loro da suscitare più di un interrogativo e un’infinità di polemiche.

Come é stato possibile che un Paese meritatamente famoso in tutto il mondo per la sua capacità difensiva e di spionaggio, non abbia colto i segnali e non sia riuscito a prevenire il disumano massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre? Ad evitare un tale scempio di donne e bambini che non é solo la più grave tragedia in termini di atrocità, orrore e morti dai tempi dell’Olocausto, ma é anche il più grande fallimento degli apparati politici, della sicurezza e dell’intelligence israeliani ?.
Quegli stessi apparati di sicurezza che in poche settimane hanno poi decapitato gli imprendibili vertici di Hamas e degli Hezbollah e stravolto la rete di comunicazioni delle milizie iraniane in Libano con la clamorosa e inedita operazione del sabotaggio a tappeto dei dispositivi dei cellulari e dei cercapersone, fatti esplodere in mano o in tasca a migliaia di terroristi. Operazioni da Guinness dei primati della storia segreta dell’intelligence. 
Ci sarà tempo dopo la guerra per interrogarsi, é il mantra ripetuto più e più volte dal governo di Gerusalemme. “Prima si vince la guerra, e solo dopo indagheremo”, é stata la linea adottata dal capo di Stato maggiore, Herzi Halevi, e pienamente condivisa dal premier israeliano, che ha sempre respinto gli appelli a creare una commissione d’inchiesta.
Nel frattempo, con il passare dei mesi, per colmare questa lacuna e placare gli interrogatovi, le forze armate hanno avviato indagini interne volte a trarre conclusioni operative per i militari, senza esaminare e mettere in discussione le scelte della leadership politica.

Ogni branca ha cominciato ad analizzare le proprie azioni, partendo in alcuni casi dal post-guerra a Gaza nel 2014 o dalle rivolte al confine con la Striscia nel marzo 2018. Primi rapporti sono stati finora pubblicati sulla gestione dei combattimenti nei kibbutz Be’eri e Nahal Oz. E di materiale da esaminare ce n’é: il mese dopo il massacro compiuto da Hamas erano uscite indiscrezioni sul fatto che una sottufficiale dell’intelligence militare, molto rispettata, identificata come V, avesse avvisato la sua catena di comando durante l’estate 2023 che Hamas stava pianificando un’incursione su larga scala. I suoi allarmi erano stati liquidati come “immaginari” e ignorati.
Insieme alle indagini interne dell’ Israel defense forces, nel luglio di quest’anno su impulso di diversi gruppi che rappresentano i sopravvissuti al massacro di Hamas e dei familiari delle vittime é stata formata una commissione d’inchiesta civile indipendente, con due generali in pensione, un ex commissario di polizia e l’autore del codice etico ufficiale dell’Idf. Nonostante non abbia nessun potere legale e non possa convocare testimoni né avere accesso ai documenti governativi , la commissione civile intende svolgerà un’indagine completa e redigerà un rapporto che sarà la base di lavoro per la futura inchiesta ufficiale, ritenuta indispensabile.
Lo spettro degli effetti collaterali delle commissioni statali del passato agita Netanyahu. Sebbene ci vogliano anni per arrivare a un rapporto conclusivo, le conseguenze politiche sono spesso nefaste, anche se i vertici vengono scagionati.
Un esempio é la commissione Agranat sulla guerra dello Yom Kippur del 1973: l’allora ministro della Difesa, il mitico Moshe Dayan, e la premier Golda Meier furono tenuti al riparo, ma le critiche politiche e le proteste di piazza costrinsero la leader israeliana alle dimissioni poco dopo la pubblicazione del rapporto preliminare nell’aprile 1974.
Netanyahu finora non si é mai assunto la responsabilità per quanto accaduto, a differenza dei vertici della sicurezza e dell’intelligence. Anzi, nei primi giorni di guerra, nell’ottobre 2023, aveva suscitato dure polemiche un suo tweet – poi cancellato – in cui sembrava incolpare i soli militari per il fallimento del 7 ottobre, sottolineando di non essere mai stato avvisato “in nessuna circostanza e in nessun momento delle intenzioni di guerra di Hamas”. E ad agosto 2024, in un’intervista alla rivista Time, alla domanda se volesse scusarsi per quanto accaduto, si era limitato ad affermare di essere “profondamente dispiaciuto”. Per poi aggiungere che “ci sarà abbastanza tempo per chiarire gli eventi. Ma penso che farlo ora sia un errore. Siamo nel mezzo di una guerra, una guerra su sette fronti. Penso che dobbiamo concentrarci su una cosa: vincere”.
Diverso l’atteggiamento dimostrato da larga parte dell’apparato della sicurezza. Halevi come diversi altri – tra cui il capo dello Shin Bet, Ronan Bar, il capo del Comando meridionale Yaron Finkelman e il comandante della divisione di Gaza, Avi Rosenfeld – hanno subito riconosciuto le proprie responsabilità per il fallimento.
