by Antonio Borgia
L’odierna definizione di riciclaggio, ripresa nel libro “Le nuove regole antiriciclaggio” di Carboni, Bianchi e Vallefuoco, é quella della «riutilizzazione dei proventi di attività criminali in attività legali, con lo scopo di occultare la provenienza illecita della ricchezza, mediante una serie di operazioni dirette ad ostacolare la ricostruzione, a ritroso, dei movimenti di capitali fino all’evento delittuoso generatore degli stessi».
Il termine riciclaggio, equivalente all’inglese «money laundering» (lavaggio di denaro), è stato coniato dalla stampa americana negli anni 20 dello scorso secolo, quando si scoprì che il boss mafioso italo-americano Al Capone aveva avuto l’idea di occultare l’origine dei suoi soldi tramite l’acquisto di lavanderie a gettoni nella città di Chicago.
Molti studiosi ritengono che non esista una chiara volontà internazionale di combattere il riciclaggio, perché gran parte del denaro illecitamente ottenuto, in special modo quello relativo al narcotraffico, è utilizzato anche per sostenere i mercati, l’economia e molte banche.
A livello mondiale, il riciclaggio di denaro ha raggiunto cifre incredibili.
L’apposito Ufficio delle Nazioni Unite, come confermato anche dal Fondo Monetario Internazionale, ha infatti calcolato che, annualmente, viene riciclato fra il 2 e il 5 per cento del Pil globale, cioè fra 1.920 e 4.800 miliardi di dollari.
Per far comprendere le potenzialità finanziarie delle mafie nostrane (e quindi la mole di denaro da riciclare), alcuni studi della Banca d’Italia del dicembre 2021 hanno indicato come probabile che le attività illegali delle suddette organizzazioni valgano almeno il 2% del Pil nazionale. L’Ufficio studi della Cgia, lo scorso mese, ha indicato il volume di affari annuo in 40 miliardi di euro, però sicuramente sottostimato.
Inoltre, gli analisti riconducono alle mafie anche larga parte dell’economia sommersa (sotto-dichiarazione degli operatori economici, lavoro irregolare e altre componenti), fino a ipotizzare un valore annuale di circa 200 miliardi di euro, costituenti il 10% del Pil italiano.
Ciò che è certo, almeno per il nostro Paese, è l’investimento di gran parte delle somme riciclate nelle regioni settentrionali, più ricche e già oggetto di radicalizzazione mafiosa.
Innumerevoli sono i metodi per riciclare denaro. Il mezzo più antico utilizzato per trasportare denaro oltre confine, per poi depositarlo in banche svizzere, é quello del passaggio attraverso la frontiera montana da parte di spalloni o corrieri.
Attualmente, il denaro o i titoli di credito vengono nascosti sulle persone o mezzi che oltrepassano la Dogana di Ponte Chiasso (Como). Spesso vengono rinvenuti anche lingotti di oro, provenienti dalle località ove sono presenti importanti aziende orafe, ben celati in doppi fondi ricavati nelle autovetture.
Uno studio del 2017 del Centro di ricerca interuniversitario Transcrime, intitolato «Il rischio riciclaggio in Italia» (come ricordato nel libro «Una Cosa sola» di Gratteri e Nicaso), ha identificato i settori economici e le attività commerciali a maggior rischio di riciclaggio basandosi su quattro parametri:
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l’uso frequente di denaro contante;
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la presenza di manodopera irregolare;
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l’opacità delle strutture societarie;
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l’infiltrazione della criminalità organizzata.
Una vicenda particolare, narrata sempre nel libro «Una cosa sola», é quella accertata nell’operazione «Eureka» allorchè si scoprì che il denaro contante ricavato dalla vendita di droga veniva stoccato in cassette di sicurezza in Calabria e trasportato in Germania, dove veniva depositato in banca come guadagno di una serie di autolavaggi, intestati a prestanome della ‘ndrangheta.
Altro insolito caso riguarda un’ipotesi di riciclaggio, poi non attuata, scoperta dalla DDA di Palermo. Nell’aprile 2019, in provincia di Agrigento giunsero un emissario della famiglia mafiosa americana dei Gambino e due affaristi russi. Lo scopo del viaggio era quello di convincere i «cugini» siciliani a individuare un’azienda del posto nella quale immettere grosse quantità di denaro, per poi portarla al fallimento e far così sparire milioni di euro.
Secondo le indagini, i soldi provenivano da Singapore e ai mafiosi agrigentini sarebbe stato lasciato il 20% dell’operazione. Naturalmente, il titolare dell’impresa prescelta avrebbe dovuto accettare la possibilità di essere arrestato, in cambio di qualche milione di euro.
Sempre nel medesimo libro si fa cenno allo studio della Direzione centrale della Polizia criminale in cui sono state individuate cinque modalità principali con cui le mafie infiltrano e compromettono la stabilità economica:
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Prima: quella caratterizzata da una penetrazione parassitaria attraverso pratiche estorsive;
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Seconda: quella speculativa, in cui le mafie partecipano in maniera occulta nelle aziende, approfittando della crisi economica;
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Terza: quella mista, combinante elementi parassitari e speculativi attraverso l’imposizione di subappalti e assunzioni di personale;
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Quarta: quella imprenditoriale diretta, che segue il modello dell’impresa mafiosa con l’uso di prestanome incensurati e il supporto di professionisti facilitatori, come avvocati, notai e commercialisti;
Quinta: quella rivolta all’infiltrazione nella Pubblica Amministrazione che mira a controllare enti pubblici per gestire appalti capaci di garantire flussi economici rilevanti.
Per riciclare attraverso negozi o attività commerciali, occorre che gli stessi abbiano un consistente flusso di cassa oppure possano essere oggetto di ristrutturazione, anche per aumentarne il valore in caso di rivendita.
A causa della pandemia di coronavirus, purtroppo, i titolari di molti esercizi di ristorazione, alberghi e villaggi turistici, per pagare i debiti e sopperire al crollo dei ricavi, sono stati costretti a cedere la loro attività a prezzi inferiori a quelli di mercato.
A febbraio 2021, la Coldiretti ha segnalato che, a seguito del crack del settore agroalimentare per l’emergenza Covid, «la criminalità è arrivata a controllare cinquemila locali», approfittando della crisi di liquidità di molte strutture, divenute più vulnerabili anche all’usura.
Nel mese di settembre 2020, la CGIA di Mestre ha presentato un dossier in cui è stato segnalato il crescente numero di segnalazioni annue di operazioni sospette di riciclaggio giunte all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia e riguardanti le piccole e medie imprese (quasi 140mila), attestanti l’estremo interesse mafioso per il settore.
La Cgia ritiene che ciò derivi, soprattutto, dal minor numero di prestiti erogati dalle Banche negli ultimi anni (- 27% in 10 anni, cioè 250 miliardi di euro concessi in meno).
Nel dicembre 2024, sempre la Cgia ha indicato in 150.000 le imprese nell’ “orbita” della criminalità organizzata.
Particolarmente “appetitoso” per le mafie è il settore del turismo.
Già nel mese di aprile 2020, IlSole24ore segnalava come sulla riviera romagnola vi fossero numerose proposte di acquisto di hotel in crisi, con offerte al ribasso, fidandosi della enorme crisi derivante dal fermo attività.
Il settore rappresenta, indubbiamente, una grande occasione di riciclaggio e investimento. Sono state documentate acquisizioni di aziende turistico-alberghiere in diverse zone lombarde, a cura di soggetti calabresi, nonché l’interesse di gruppi, anche campani, sui bed & breakfast in nero ovvero sugli stabilimenti balneari liguri. Numerosi gli alberghi di lusso di proprietà di società risultati riconducibili alle mafie nel Veneto ed Emilia.
Uno studio del 2024 di Demoskopika, prendendo a base alcuni indicatori ritenuti sensibili ai fini della ricerca, ha misurato il rischio di infiltrazione delle mafie nel comparto, calcolandone i proventi in circa 3,3 miliardi di euro, ripartiti fra ‘ndrangheta (50%), camorra (28,8%), cosa nostra (12,1%), mafie pugliesi e lucane (9,1%).
Il settore dell’edilizia, storicamente, è stato il primo inquinato dalle mafie, anche perché ha consentito i contatti privilegiati con politici, imprenditori e uffici degli enti pubblici.
Il pentito delle cosche mafiose palermitane, Angelo Siino, ad esempio, segnalò che in Sicilia era stato creato un tavolo di contrattazione fra le parti interessate, al fine di decidere come ripartirsi gli appalti. Successivamente, il sistema é stato esteso alle altre due regioni meridionali interessate, senza che alcun imprenditore coinvolto abbia mai denunciato quanto accadeva.
Come non ricordare il consistente investimento di Totò Riina nella Calcestruzzi Spa di Ravenna del Gruppo Ferruzzi, con propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione, impresa sempre aggiudicataria di appalti in Sicilia, giunta a intestarsi fittiziamente le quote di un’azienda del boss Antonino Buscemi per evitare che gli venissero confiscate, nonché coinvolta nella maxi speculazione di Pizzo Sella, la collina che sovrasta la baia palermitana di Mondello.
I forti legami con la politica e la pubblica amministrazione, scaturiti anche dagli accordi illeciti sulle «mazzette», hanno aperto le porte dei finanziamenti statali ed europei, questi ultimi soprattutto incassati grazie a variegate truffe poste in essere nei diversi settori.
Nel processo col rito abbreviato «Gotha» a Reggio Calabria, i giudici hanno riconosciuto che la direzione strategica illegale, che operava stabilmente all’interno delle Istituzioni, aveva deciso di trasformare la pubblica amministrazione in una straordinaria macchina di riciclaggio di capitali mafiosi.
La DDA, nell’occasione, ha spiegato che la possibilità di ricollocare nei territori di origine una parte di ricchezza generata illegalmente passava dalla pubblica amministrazione «diventata l’interlocutore necessario di questa enorme deviata ed eversiva operazione di riciclaggio e reimpiego attraverso organi dello Stato».
Numerosi sono stati i casi di riciclaggio di denaro attraverso proposte accettate di finanziamento delle aziende in crisi, avviate grazie a professionisti che contattano i titolari di aziende (magari dopo aver acquisito i nominativi da funzionari bancari infedeli) per convincerli ad accogliere nuovi soci, poi dimostratisi cinici nell’imporre fornitori e fatture false, depauperare le società dei loro beni e portarle al fallimento.
Eclatante la vicenda di un’importante azienda edile lecchese e delle sue collegate, il cui titolare accettò, nel 2008, l’aiuto economico di un faccendiere con numerosi precedenti, che gli subentrò nella guida dell’azienda e assunse diversi calabresi senza alcuna competenza o titolo di studio.
Dopo il passaggio del gruppo sotto una nuova impresa, appositamente costituita per partecipare agli appalti di Expo 2015 ma infiltrata dalla ‘ndrangheta tramite due fiduciarie, le enormi spese sostenute anche per il leasing di lussuose autovetture per i soci portarono inevitabilmente al fallimento, alla perdita del lavoro per centinaia di dipendenti nonché al processo penale e alle condanne per associazione mafiosa e concorso esterno.
Altri settori risultati infiltrati dalle mafie e oggetto di riciclaggio di denaro sono:
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i porti e la cantieristica navale. In alcune regioni del centro nord è stata individuata l’infiltrazione di due famiglie palermitane di cosa nostra, attraverso prestanome;
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l’autotrasporto. Alcuni anni fa le associazioni di categoria segnalarono che l’8% delle imprese operanti nel settore era infiltrato dalla mafia.
Nell’astigiano, ad esempio, venne individuata dalla ‘ndrangheta un’importante impresa con un ottimale volume di affari ma alla ricerca di liquidità per la risoluzione dei debiti e un ampliamento strutturale. Due professionisti di altra regione contattarono i due soci che accettarono il finanziamento da parte di un calabrese residente in Lombardia. Quest’ultimo divenne, in poco tempo, l’amministratore di fatto dell’azienda, imponendo un voluminoso giro di fatture false fra soggetti a lui riconducibili, al fine di richiedere un imponente leasing finanziario per l’acquisto di una flotta di camion nonché diversi finanziamenti bancari, presentando a garanzia il patrimonio mobiliare, con l’evidente finalità di depauperare l’azienda. L’arresto per associazione mafiosa del nuovo socio e il fallimento della società infiltrata hanno concluso la vicenda;
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il trasporto espresso di merci. Nell’area milanese è stata individuata l’infiltrazione della ‘ndrangheta, grazie a una rete di subcontratti che aveva consentito di ottenere il ruolo di fornitore esclusivo;
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la sanità pubblica, da sempre oggetto di interesse mafioso perché costituente la voce più alta per ogni regione. Le aziende riconducibili alla criminalità organizzata riescono spesso ad aggiudicarsi appalti di vario tipo, talvolta grazie ai rapporti instaurati con i dirigenti (vedasi il caso dell’Asl Pavia con l’arresto nel 2011 del suo vertice, poi condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa). Varie inchieste svolte hanno consentito di accertare il controllo delle mafie su case di degenza per bambini, Rsa, cliniche private;
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i mercati ortofrutticoli, come i recenti casi di Torino e Milano attraverso le cooperative di facchinaggio;
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le scommesse clandestine, anche mediante agenzie regolarmente autorizzate.
Nel libro “Il Grifone” di Gratteri e Nicaso, vengono, ad esempio, descritte le varie fasi poste in essere. Si inizia con l’attività estorsiva nei confronti delle società concessionarie, delle sale da gioco e degli esercizi commerciali in cui si pratica il gioco elettronico, per passare all’imposizione delle macchinette videopoker nei locali pubblici e terminare con l’infiltrazione nelle società, punti scommesse e sale da gioco, gestite tramite prestanome ma anche attraverso la compartecipazione delle società concessionarie, titolari dei nulla osta dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato;
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il gioco online. Solo nel 2021 l’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane ha inibito ben 197 siti web privi di autorizzazione. Il libro “Fuori dai confini” di Gratteri-Nicaso ha segnalato il caso degli oltre trecento casinò virtuali facenti capo all’isola di Malta ma spesso controllati da organizzazioni criminali e fiduciarie, in grado di garantire a quel governo il 12 per cento del prodotto interno lordo nazionale. Nel libro “Una cosa sola” sempre di Gratteri-Nicaso viene citato uno studio Federconsumatori e CGIL, in collaborazione con la Fondazione Isscon, che ha rilevato come il gioco d’azzardo online, nel 2022, abbia raggiunto la somma di 73 miliardi di euro, il doppio rispetto al 2019;
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i casinò. Il riciclaggio può avvenire grazie al controllo diretto delle organizzazioni criminali, all’attività dei cosiddetti “cambisti” che prestano denaro ad alti tassi di interesse, al ricorso a giocate fittizie con la complicità dei cassieri, cambiando rilevanti somme di denaro in più tranche, per poi ottenere un assegno a fine serata che attribuisce al denaro la liceità. Il pentito di cosa nostra Nicola Mandalà, di Villabate raccontò che era solito riciclare forti somme di denaro, nei primi anni 2000, presso il casinò di Saint Vincent, in Valle d’Aosta, dove si recava spesso. Alla Cassa versava assegni in continuazione, ricevendo in cambio titoli emessi dalla Società che gestiva il Casinò, utili per dimostrare le vincite lecite. Nel libro «Valle d’Aosta crocevia della ‘ndrangheta», è rivelato che il riciclaggio di denaro tramite il casinò di Saint-Vincent iniziò negli anni Settanta del 900. All’epoca, le organizzazioni mafiose assoldavano cittadini insospettabili che si presentavano con molto denaro proveniente da estorsioni o traffico di droga e lo trasformavano in fiches. Dopo qualche giocata riconvertivano le fiches in soldi, ormai puliti, e partivano per la Svizzera al fine di depositarli in conti correnti o cassette di sicurezza;
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gli investimenti all’estero. Nell’ottobre 1993 venne arrestato in Calabria il boss di ‘ndrangheta Salvatore Filippone che “stava trattando con una banca tedesca l’acquisizione di rubli e marchi per 2600 miliardi di lire con i quali voleva acquistare catene di alberghi e casinò a Mosca», oltre che «un’acciaieria a Leningrado e quote di minoranza di una banca». Nel 1992, come rivelato dal pentito di cosa nostra Antonino Giuffrè e ai documenti acquisiti dalla magistratura, il boss Matteo Messina Denaro tentò invano di trovare un accordo con il governo maltese, tramite un funzionario di quel Paese, per la costruzione di un complesso turistico sull’isola di Manuel, con annesso porticciolo, del valore di 1.800 miliardi di lire. Da ricordare che, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, a fine 1989, molti emissari delle mafie italiane si recarono nell’ex Germania est per acquistare innumerevoli immobili e attività commerciali a prezzi stracciati, approfittando della situazione politica;
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le aziende italiane in difficoltà finanziarie o alla ricerca di liquidità;
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l’acquisto di oggetti di antiquariato e opere d’arte, spesso conservate nei freeport esistenti in diversi Paesi, come quello di Ginevra. In molte abitazioni di boss mafiosi, infatti, gli investigatori hanno rinvenuto costosissimi quadri di artisti famosi. In una recente intervista il Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone ha evidenziato come gli oggetti d’arte siano, anche, utilizzati in transazioni illecite, come traffico di droga, attività estorsive o fatti di corruzione. Addirittura, in passato, nel corso di indagini, venne accertato che «alcune tele seicentesche del Manierismo spagnolo, rubate da chiese napoletane, erano state utilizzate come pagamento di partite di droga acquistate proprio in Spagna».
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il cinema. Nel mese di luglio 2024, a Roma, una inchiesta della locale Dda ha scoperto il riciclaggio di ingenti somme in tale settore, per conto dei clan della camorra, grazie alla connivenza di un produttore cinematografico. Gli indagati utilizzavano società cartiere intestate a prestanome, per emettere fatture false anche con l’aiuto di professionisti compiacenti;
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il calcio. Nel libro del 2023 “Le nuove regole antiriciclaggio” di Carbone-Bianchi-Vallefuoco, si fa riferimento al settore calcistico come potenzialmente interessato dal riciclaggio di denaro, atteso il notevole fabbisogno finanziario dei club e il loro indebitamento. Nel campionato italiano 2019/2020, secondo gli autori, 8 squadre di serie A su 20 erano «detenute,direttamente o indirettamente, da società che hanno sede nei paradisi fiscali, ovvero domiciliate in giurisdizioni segrete. Invero, la perdurante situazione di crisi economica e finanziaria ha spinto società sportive e i rispettivi titolari effettivi ad avvalersi di finanziamenti e sponsorizzazioni da imprese operanti in ambiti territoriali distanti, con soci già oggetto di procedimenti penali per connessioni con la criminalità organizzata, alcuni dei quali hanno poi assunto cariche apicali all’interno delle stesse società sportive» (vedi Rapporto annuale UIF per il 2020). Naturalmente, non solo l’Italia è interessata da questo fenomeno. Nel 2015, alcuni giornalisti inglesi hanno segnalato che 34 squadre inglesi o scozzesi erano controllate da società domiciliate nei paradisi fiscali;
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l’energia rinnovabile (fotovoltaico, biomasse ed eolico). Particolarmente interessato a tale settore é stato il boss Matteo Messina Denaro, catturato il 16 gennaio del 2023 e deceduto nel settembre dello stesso anno. Uno dei più importanti sequestri patrimoniali (1,3 miliardi di euro) ha, infatti, riguardato un imprenditore trapanese che, tramite sue società, ha investito i proventi delle molteplici attività criminali del boss nell’installazione di pale eoliche in Sicilia, approfittando dei consistenti finanziamenti pubblici (nazionali ed europei) e della forte crescita del settore;
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le aziende petrolifere (titolari anche delle cd pompe bianche). Alcune società in difficoltà finanziaria hanno ottenuto liquidità dalle mafie, perpetrando frodi fiscali mediante “cartiere” gestite dalle predette o importando dall’est Europa prodotti petroliferi artefatti e oli lubrificanti, poi venduti come gasolio per autotrazione;
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l’acquisizione dei crediti per il bonus 110. Alcune inchieste hanno evidenziato come le mafie stiano sfruttando il blocco del governo Meloni al bonus edilizio del 110% per l’efficientamento energetico degli edifici privati che ha impedito la cessione del credito alle banche. La condizione di emergenza di diverse aziende, soprattutto quelle finanziariamente più deboli, che si sono ritrovate con crediti fiscali incagliati, ha attirato l’attenzione di tali organizzazioni. Emissari di quest’ultime, con notevole disponibilità di denaro contante, si sono presentati agli imprenditori in difficoltà per acquistare i crediti accumulati, ma non riscuotibili, ad un prezzo stracciato, con sconti addirittura del 40%, approfittando della necessità impellente di pagaredipendenti e fornitori;
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le vincite al lotto, superenalotto e gratta & vinci, grazie ai titolari di bar, tabaccherie e ricevitorie che segnalano ai mafiosi i vincitori di consistenti somme per il successivo contatto. L’allettante proposta è quella della corresponsione dell’immediato importo in contanti, anche in forma superiore, così da consentire di intestare ufficialmente la vincita ai mafiosi;
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l’acquisto di polizze vita, con premi molto alti, presso società di assicurazione. Alla sua scadenza l’interessato riceve l’intero capitale accumulato più la rivalutazione;
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la finta speculazione immobiliare, in cui il cliente che deve riciclare offre, per l’acquisto, la metà dell’importo in nero e il resto in assegni circolari. Per ragioni fiscali, il venditore normalmente accetta. L’acquirente, allora, effettua una minim ristrutturazione e, poi, vende al prezzo di mercato. I soldi pagati in nero sono stati riciclati e il frutto della vendita diventa una entrata legale;
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il prestito di denaro, a tassi usurari a imprenditori in difficoltà finanziarie che non riescono ad ottenere credito bancario per la mancanza delle richieste garanzie;
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investimenti in titoli di Stato e non, private equity (società non quotate in borsa), valute pregiate, fondi immobiliari, mercati azionari;
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le società fiduciarie che consentono di celare la partecipazione e/o il controllo degli assetti proprietari delle aziende;
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il trust. Anch’esso di tipo fiduciario, consente di regolare più rapporti di natura patrimoniale (isolamento e protezione di patrimoni, gestioni patrimoniali controllate e in materia di successioni, diritto societario e fiscale);
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Centri off-shore ovvero paradisi fiscali, societari, bancari o penali. Nel mese di novembre 2023, l’Osservatorio fiscale europeo (EU Tax Observatory) ha pubblicato la prima edizione del documento Global Tax Evasion Report, frutto del lavoro di oltre 100 ricercatori. Fra i dati indicati ve n’è uno impressionante, quello della ricchezza finanziaria detenutaoffshore, calcolata nel 2022 in 12.000 miliardi di dollari. Secondo uno studio del 2012 pubblicato sul settimanale britannico Observer, la ricchezza occultata nei territori off-shore ammontava, invece, fra i 21.000 e i 32.000 miliardi di dollari. L’Italia celerebbe nei paradisi fiscali fra 140 e 550 miliardi di euro;
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rimpatrio o regolarizzazione di capitali e beni detenuti all’estero, grazie ai cd. scudi fiscaliovvero norme agevolative e con esclusione di sanzioni penali. Nel libro “Le nuove regole antiriciclaggio” viene segnalato a tal proposito che, nel primo decennio di questo millennio, tre distinti provvedimenti normativi hanno consentito di «sanare» capitali per circa 180 miliardi di euro, di cui 145 rimpatriati. Nel 2014, la voluntary disclosure (collaborazione volontaria) ha permesso di far emergere e regolarizzare altri 60 miliardi di euro;
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l’acquisto di crediti deteriorati, i cosiddetti non-performing loans (crediti in sofferenza, determinati dalla cessazione dei pagamenti, da almeno 90 giorni, da parte dei debitori) per importi enormemente scontati da parte dei grandi fondi presso cui le mafie investono;
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l’utilizzo di fatture false per servizi o beni, previo naturalmente un accordo preventivo (soprattutto imposto) fra fornitore e cliente. Nel libro «Ossigeno illegale» di Gratteri-Nicaso, viene segnalato un caso di riciclaggio, attuato dalla ‘ndrangheta, scoperto nel corso di un’indagine. Tutto gravitava intorno ad una «società bulgara, gestita da un prestanome, che aveva il compito di schermare gli acquisti di acciaio inossidabile – oggetto dell’attività commerciale – consentendo, mediante i pagamenti effettuati, di spostare ingenti somme di denaro in Bulgaria. La stessa società veniva utilizzata anche per emettere, nei confronti delle società italiane facenti capo ai soggetti indagati, fatture per operazioni inesistenti, a loro volta utilizzate per dare una giustificazione formale alla realizzazione di ulteriori bonifici effettuati sull’asse Italia –Bulgaria.»;
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l’acquisizione dei crediti commerciali verso la Pubblica Amministrazione, soprattutto nelle regioni ove i pagamenti superano i tempi previsti. Per fare questo, come descritto nel libro «The dark-web side of mafias», le imprese riconducibili alla criminalità mafiosa partecipano agli appalti dove il guadagno é minimo (tipologia dell’offerta economicamente più vantaggiosa per prezzo più basso), anche per esercitare il governo del territorio tramite l’erogazione di servizi essenziali e, talvolta su basi clientelari, come avviene per quelli sanitari. In tal modo, considerando utile investire in tali crediti, riconducibili di fatto ai soli interessi maturati, le imprese scelgono poi di cederli sotto forma di titoli da riscuotere o investire sui mercati finanziari internazionali. I titoli di debito garantiti dallo Stato concernono soprattutto le obbligazioni contratte da enti pubblici economici per la fornitura di beni o servizi da parte di un’azienda privata. Quest’ultima, non ricevendo un pagamento immediato, diventa titolare di un credito commerciale nei confronti dello Stato e ha diritto agli interessi in proporzione al ritardo nel pagamento, di norma oltre i 30 giorni ma estensibile a 60 se riguardano il Servizio Sanitario Nazionale e le pubbliche amministrazioni impegnate in attività commerciali, soggette a obblighi di trasparenza. Sulla base dei dati Eurostat, lo stock dei debiti commerciali della PA italiana è pari a 55 miliardi di euro (dati 2021) ed è il più alto dell’Unione Europea in percentuale sul PIL (3,1 per cento). Infatti, malgrado ci sia stato un progressivo miglioramento, ad oggi i tempi medi di pagamento sono di 70 giorni, con l’anomalia della Calabria che raggiunge una media di 245 giorni. Tale ritardo induce talvolta, come accaduto proprio in quest’ultima regione, a cartolarizzare i crediti commerciali, cioè trasformarli in titoli negoziabili, consentendo ai creditori di recuperare la propria liquidità e agli acquirenti dei titoli effettuare un investimento con rendimenti attraenti. Nei primi giorni di luglio 2020, il prestigioso quotidiano britannico Financial Times ha lanciato una clamorosa «notizia», ripresa dai maggiori giornali italiani: «Piazzato sul mercato un miliardo di bond legati alla ‘ndrangheta», ribattezzati Mafia bonds. Secondo l’inchiesta, sembra basata su documenti legali e finanziari, tra il 2015 e il 2019, investitori internazionali (fondi e banche) avrebbero acquistato titoli obbligazionari collegati ad attività della ‘ndrangheta per un valore complessivo di un miliardo di euro. Ruolo importante nella vicenda l’avrebbe avuto la Banca d’investimento di Ginevra CFE, risultata una delle controllate estere del Gruppo UBI. La CFE, secondo il quotidiano inglese, avrebbe dato vita ad una cosiddetta società veicolo che avrebbe emesso e collocato titoli obbligazionari, con una struttura complessa e rendimenti particolarmente appetibili, soprattutto in questa fase di tassi a zero. Dalle precisazioni successive, sembra che solo una parte dei titoli riguarderebbe crediti verso la sanità pubblica di imprese, poi risultate legate alla ‘ndrangheta calabrese, effettivamente accreditate con il Sistema Sanitario Nazionale e sospettate di aver scelto di cedere il credito per eludere i controlli antiriciclaggio. Poiché il frequente ritardo nel pagamento fa scattare, in base alle normative europee, interessi garantiti e vantaggiosi, le fatture emesse (diventate fonti di profitto allettanti) sono state impacchettate insieme ad altri prodotti perfettamente legali, per costruire titoli obbligazionari. Dello stesso parere anche la XIII edizione del Convegno annuale antiriciclaggio, tenutosi a Roma il 19 aprile 2023, che ha evidenziato come cessioni di crediti e cartolarizzazioni (il cui utilizzo é di molto aumentato, anche grazie alle normative come quella del «superbonus») rappresentino il metodo più frequente di infiltrazione della criminalità organizzata e di riciclaggio.