L’antologia politica del dopo amministrative apre nei partiti tutta una serie di scenari che fanno da contorno alla scadenza del Quirinale e al crescente ruolo internazionale dell’Italia di Mario Draghi.
Gli effetti collaterali della sconfitta elettorale stanno scatenando tutte le conflittualità latenti all’interno di Forza Italia, della Lega di Fratelli d’Italia.
Nonostante i baci e gli abbracci ecumenici davanti alle telecamere fra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni il centro destra è attraversato da profonde spaccature. Neanche l’ultimo arcobaleno sul Quirinale, quasi fanciullescamente inseguito da Berlusconi, riesce a placare i contrasti fra i Ministri azzurri Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta che non intendono digerire l’imposizione del nuovo capogruppo alla camera Paolo Barelli, considerato troppo vicino alla Lega.

A meno del ricorso in extremis di Berlusconi alla mozione degli affetti e l’invito a attendere l’esito del voto per il Quirinale, la scissione più volte paventata questa volta potrebbe dividere il gruppo parlamentare e, ipoteticamente, lasciare paradossalmente senza ministri Forza Italia.
All’interno della Lega, oltre a ufficializzare nel peggiore dei modi la guerra senza esclusione di colpi con Fratelli d’Italia per la leadership del centrodestra, le esternazioni di Salvini contro Giorgia Meloni vengono interpretate come un tentativo del segretario di dribblare l’analisi sui clamorosi errori che hanno provocato la disfatta alle amministrative. Dalla scelta del candidato di Milano, a tutte le fallimentari iniziative politiche che hanno determinato soltanto autogol e emorragie di voti. Nonostante i proclami a Via Bellerio c’è aria di cabina di regia, definizione diplomatica di un commissariamento politico intanto per l’azione di Governo e poi per decidere sul Quirinale.

Le critiche e i mal di pancia interni a Fratelli d’Italia, a differenza delle contrapposizioni spesso di potere in corso a Forza Italia e nella Lega, vengono tutto sommato classificati come fisiologici e anzi saranno sfruttati da Giorgia Meloni per decontaminare ulteriormente, si fa per dire, il partito dalle ancora evidenti riminiscenze di Almirante, Rauti e dintorni, nonché delle contraddizioni clientelari risalenti a Fini e ai suoi colonnelli. Resta il vulnus della scelta del candidato per Roma, perché è unanime l’opinione che se Giorgia Meloni fosse scesa personalmente in campo avrebbe vinto al primo turno. Il miraggio di Palazzo Chigi sarebbe insomma costato a Fratelli d’Italia il Campidoglio.
Il naufragio sul Tevere rischia di incrinare anche le chance per il Quirinale. Dopo l’eventuale confluenza di voti per i primi tre scrutini sul candidato di bandiera Silvio Berlusconi, che una volta ottenuto quello che considera una sorta di onore delle armi annuncerebbe con un aulico discorso di ritirarsi dalla corsa, al centro destra non rimarrebbe che la scelta di puntare su candidati trasversali come Pier Ferdinando Casini e Letizia Moratti sui quali potrebbero confluire anche i voti di parte del gruppo misto. Secondo i calcoli più ottimistici, al centrodestra mancherebbe una manciata di preferenze per superare, al quarto scrutinio, quota 505 voti su 1008 ed eleggere un proprio candidato al Colle.
Sull’altro versante del Quirinale, Pd, Cinque Stelle e sinistra hanno verificato che le proiezioni su tutti i collegi delle politiche dei risultati delle amministrative, certificano l’implosione dei grillini e il diverso impatto dell’affluenza dei votanti alle elezioni nazionali. Nonostante il trend favorevole soprattutto per il Pd, rimane cioè l’incertezza del risultato complessivo. Prima di evocare il fantasma delle elezioni del 1994, al Nazareno puntano intanto ad assicurarsi l’elezione del Presidente della Repubblica. Assieme ai nomi, il dibattito pubblico e riservato, si è snodato anche sull’età dei candidati più esperti ma anche più anziani, in relazione al settennato del Quirinale: Giuliano Amato l’anno prossino compie 84 anni; Romano Prodi 83; Sergio Mattarella 81; Mario Draghi 74…
Se si dovesse determinare una situazione di impasse istituzionale, nonostante l’indisponibilità alla rielezione più volte manifestata, il Presidente uscente Mattarella sarebbe quindi favorito anche dall’età e non potrebbe che prendere atto della volontà unanime, o quasi, del parlamento e accettare una conferma di garanzia costituzionale. Se non altro per non privare il Paese della necessaria imparzialità, resa indispensabile dall’attuazione del recovery plan con Mario Draghi a Palazzo Chigi e dalla delicata transizione fra l’attuale Parlamento e le nuove Camere con un numero ridotto di deputati e senatori: da 630 a 400 a Montecitorio e da 315 a 200 a Palazzo Madama.
All’impasse istituzionale potrebbero concorrere, secondo gli ambienti parlamentari, la disgregazione politica in atto nel Movimento 5 Stelle e le contrapposizioni sotterranee esistenti in quasi tutte le forze politiche. Divisioni, astensioni e franchi tiratori, che già nel 2013 vennero superate con la rielezione del Presidente uscente, Giorgio Napolitano, che rimase in carica per altri due anni.
