by Antonio Borgia
Se cosa nostra siciliana é diventata, nella seconda parte dello scorso secolo, la più potente organizzazione mafiosa italiana con proiezione internazionale, lo si deve al summit svoltosi a Palermo, dal 12 al 16 ottobre 1957, nell’imponente suite Wagner del famoso e centrale Grand Hotel delle Palme.
Al vertice dei capi del crimine, organizzato dal padrino di cosa nostra americana Lucky Luciano, parteciparono diversi boss delle famiglie Usa, a cominciare da Joe Bonanno, da poco assurto al ruolo di riconosciuto capo dei capi della mafia made in Usa, ed inoltre Frank Carrol, Joseph Palermo della Lucchese family, alcuni rappresentanti della famiglia Genovese e di quella dei Priziola.
Per la mafia siciliana presero parte al summit Giuseppe Genco Russo, successore di Calogero Vizzini, il capo di tutta la mafia siciliana, Gaspare Magaddino, Gaetano Badalamenti, Calcedonio Di Pisa ed i fratelli Angelo e Salvatore La Barbera.
Negli anni convulsi di un dopoguerra che risentiva ancora del ruolo svolto dalla mafia prima, durante e dopo lo sbarco alleato del luglio del 1943 in Sicilia, la contemporanea presenza di un così consistente numero di boss nel lussuoso albergo non fu adeguatamente monitorata dalla polizia italiana, che si fece sfuggire la possibilità di bloccare la riunione e le sue nefaste conseguenze.
I rappresentanti di cosa nostra americana, per la severa repressione del traffico di stupefacenti avviata dall’ Fbi a seguito della legge Narcotic Control Act, approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1956 (che prevedeva anche l’ergastolo per gli spacciatori oltre all’istituto della conspiracy, equivalente al reato di associazione per delinquere previsto dal codice penale italiano) nonché per il cambiamento politico in corso a Cuba (base principale dello smistamento della droga), si ritrovarono oggetto di un alto numero di arresti e di una rilevante perdita finanziaria.
Dopo mesi di tentativi per trovare una soluzione, su suggerimento di Lucky Luciano (residente a Napoli dopo l’espulsione dagli USA), decisero di proporre ai siciliani (già impegnati nel contrabbando di sigarette nel Mediterraneo, ma poco inclini a entrare nel business della droga) di occuparsi, dapprima, del ritiro dell’eroina raffinata nella Francia meridionale e del successivo invio negli Usa nonché, poi, della diretta raffinazione della morfina proveniente dal Medio Oriente. Previa formazione di alcuni specialisti, poi supportati da chimici francesi sopravvissuti alla repressione della polizia d’oltralpe e dell’Fbi che smantellò negli Stati Uniti la french connection marsigliese, mantenendo per i cugini americani la corresponsione di una percentuale sui guadagni.
Tommaso Buscetta, anni dopo, riferì che durante l’introduttivo banchetto offerto da Spanò, all’epoca uno dei ristoranti di pesce più rinomati di Palermo, Joe Bonanno – detto Joe Bananas – gli confidò che nell’organizzazione siciliana vi era una lacuna: mancava un coordinamento tra le varie cosche per impedire gli omicidi nelle famiglie; occorreva, cioè, un organismo che centralizzasse le decisioni sugli affari e mantenesse la pace interna.
Fino a quel momento, ogni boss aveva potere di vita e di morte illimitati sui propri affiliati; con un organo di coordinamento si poteva controllare l’attività complessiva dell’organizzazione.
Sull’esperienza degli Stati Uniti, anche se consapevoli dei forti dissidi esistenti in Sicilia, gli ospiti suggerirono di istituire una Commissione provinciale palermitana, comprendente i rappresentanti dei mandamenti (tre cosche contigue territorialmente), una specie di consiglio di amministrazione.
Il compito di attuare la nuova struttura venne affidato a Tommaso Buscetta (Palermo), Gaetano Badalamenti (cosca di Cinisi) e Salvatore Greco (cosca di Ciaculli), quest’ultimo divenuto poi il primo Capo della Commissione.
Il Direttorio, inizialmente composto da 11 boss (fra cui Calcedonio Di Pisa, Antonio Matranga, Salvatore La Barbera, Mariano Troia e Cesare Manzella), si dimostrò però inefficace a evitare conflitti interni come quello scoppiato nel 1962.
Tanto che dopo la strage di Ciaculli del 30 giugno 1963, quando un’autobomba uccise sette fra carabinieri, militari dell’esercito e poliziotti, il Direttorio mafioso venne sciolto unitamente alle famiglie, per evitare la dura repressione dello Stato.
La delegazione statunitense ripartì il 16 ottobre e il giorno dopo, nell’albergo Arlington di Binghamton, a New York, portò a conoscenza i rappresentanti delle cinque «famiglie» cittadine i dettagli degli accordi stipulati.
Come segnalato da Alfio Caruso nel libro «Da Cosa nasce Cosa», nella riunione palermitana venne anche chiesto, segretamente, ai siciliani di uccidere Albert Anastasìa, il boss calabrese a capo di una delle famiglie italo-americane, ritenuto troppo violento, per fargli subentrare il suo vice Carlo Gambino.

Il successivo 25 ottobre, Anastasia venne così ucciso sulla sedia del barbiere al Park Sheraton Hotel di New York da due killers inviati dalla Sicilia, mai individuati. La sedia di pelle azzurrina con poggiapiedi metallico, sulla quale venne freddato Anastasìa, é oggi esposta al Mob Museum di Las Vegas, dedicato alla storia della mafia Usa.
L’omicidio del capomafia ispirò il film del 1962 «Il mafioso» di Alberto Lattuada, con Alberto Sordi: il siciliano Nino Badalamenti, impiegato in una fabbrica meccanica milanese, ritornato sull’isola natìa per vacanza, unitamente alla famiglia, viene costretto – dopo aver ricevuto un favore dal locale boss mafioso – a recarsi negli Usa, nascosto in una cassa trasportata via aereo, per assassinare un boss nella sala di un barbiere. Dopo l’incarico svolto, rientra in Sicilia dalla famiglia e ritorna a Milano.
Il 14 novembre 1957, infine, per notiziare tutti i rappresentanti dell’intera mafia italo-americana di quanto deciso a Palermo il mese prima, venne convocata una riunione straordinaria ad Apalachin, nello Stato di New York, presso la villa di Joe Barbara, nativo di Castellammare del Golfo (TP).
In questo caso però la polizia americana intervenne in forze, anche per il gran numero di auto lussuose giunte sul posto, creando lo scompiglio fra i 58 delegati che tentarono di fuggire nei boschi.
Il fermo e l’individuazione della metà dei mafiosi ebbe un’enorme risonanza mediatica negli Usa, ma non fermò quanto avviato con il summit palermitano che determinò il definitivo salto di qualità di cosa nostra siciliana.
Così, dopo la realizzazione, all’inizio del 1960, dell’aeroporto di Punta Raisi, iniziarono le spedizioni di eroina verso gli Usa con relativo rientro dei dollari a pagamento, determinando l’inizio della grande ricchezza della mafia isolana.
Il fiorente business coinvolse anche molte donne, quasi tutte casalinghe, spesso residenti nel piccolo comune di Torretta nei pressi dell’aeroporto, che accettarono di trasportare droga, nascosta nelle panciere e rientrare quasi sempre con i dollari.
Il soggiorno negli Usa normalmente durava una settimana e i corrieri (che dichiaravano di recarsi a trovare dei parenti) venivano ospitati in alberghi di lusso, come l’Hilton o lo Sheraton, e muniti di dollari per fare shopping.
Il compenso variava, a viaggio, dai 25 milioni di lire per il solo trasporto di eroina fino a 75 milioni in caso di rientro con il denaro.
In questo modo, fino a quando fra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, non venne scoperto il traffico di eroina e il rientro di corrieri e valige con milioni di dollari dal vice questore della Squadra Mobile di Palermo, Boris Giuliano e dal giudice Giovanni Falcone, entrambi assassinati da cosa nostra, le cosche siciliane accumularono un vero e proprio tesoro di narcodollari che investirono nell’edilizia, nel settore bancario, nel turismo, ristorazione, supermercati e in una infinita tipologia finanziaria e commerciale, non soltanto nell’Isola ma in tutta Italia e anche all’estero.
Come ricordato nel libro «Messina Denaro, Provenzano e i grandi latitanti» di Ettore Mazzotti, Francesco Marino Mannoia (poi pentitosi) inventò, nella parte occidentale della Sicilia, un sistema di raffinerie basato su quattro-cinque grandi laboratori e decine di strutture volanti.
