by Gianfranco D’Anna
Non ha stupito nessuno la conferma della richiesta d’arresto per estorsione col metodo mafioso, avanzata da parte della Procura di Firenze, per Maria Concetta Riina, 50 anni, primogenita del capo dei capi di cosa nostra deceduto in carcere nel novembre del 2017 all’età di 87 anni.

Come i fratelli Giovanni, che sta scontando l’ergastolo per 4 omicidi, e Giuseppe che ha scontato una condanna a 8 anni per associazione mafiosa estorsione e riciclaggio, Maria Concetta Riina é l’erede diretta di una delle dinastie mafiose di più efferato spessore criminale.

Figlia dell’insegnante Ninetta Bagarella, figlia e sorella di capimafia della cosca dello storico patriarca criminale corleonese Luciano Liggio, legata in particolare al fratello Leoluca, un killer che sta scontando 13 ergastoli, Maria Concetta nonostante il padre sia già un super ricercato nasce in una lussuosa clinica privata e vive e studia assieme ai tre fratelli nati negli anni successivi per tutta la quasi trentennale latitanza del capo di capi delle cosche, catturato nel gennaio del 1993 a Palermo e condannato a 26 ergastoli per un numero impressionante di stragi e omicidi.
Lasciata la Sicilia, la primogenita del padrino avrebbe compiuto un’estorsione in puro stile mafioso nei confronti di due imprenditori toscani rivolgendosi a loro con un perentorio e minaccioso: “noi siamo sempre gli stessi di un tempo, le persone non cambiano”.
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Fiorenze e condotte dal Ros dei Carabinieri, hanno preso avvio nell’agosto 2024, quando Maria Concetta Riina, in concorso col marito Antonino Ciavarello che sta scontando in carcere due condanne per truffa, ha inviato – sottolineano gli investigatori- “messaggi telefonici ripetuti pressanti, ossessivi e minacciose, con il chiaro intento di ottenere denaro dagli imprenditori”.

Nonostante fosse detenuto in un penitenziario, Antonino Ciavarello ha inviato con un telefonino messaggi alla moglie e a uno dei due imprenditori minacciati.
Si tratta di un imprenditore del senese, che sarebbe stato costretto a dare una cesta di generi alimentari del valore di 150 euro e mille euro, e di un altro imprenditore del Pisano, che non si sarebbe invece piegato al tentativo di estorsione.

L’ordinanza segna un nuovo capitolo giudiziario che coinvolge ulteriormente i familiari del capo storico di cosa nostra, confermando la pericolosità e la persistenza di modalità operative riconducibili alla tradizione mafiosa anche al di fuori del territorio siciliano.
Ma é anche la dimostrazione che non abbassando la guardia della prevenzione si può sempre individuare, arginare e recidere la perpetuazione e la mutazione genetica di cosa nostra.
Non soltanto quella dei rampolli tanto arroganti quanto dilettanti, ma piuttosto quelle delle cosche di nuova generazione in grado di intrecciare alleanze con la ‘ndrangheta calabrese che monopolizza i traffici di droga internazionali ed i canali del riciclaggio mondiale.
Secondo Giovanni Falcone “possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto” e, aggiungiamo, nella coscienza civile di ogni cittadino.
