“E’ tornato Lavrentij”, si sussurra sottovoce a Mosca per definire il clima di paura e di terrore che circonda il Cremlino. Lavrentij Pavlovič Berija era l’agghiacciante capo della polizia segreta stalinista, responsabile di milioni di fucilazioni e deportazioni di oppositori veri o presunti del regime sovietico. Un nome che in Russia e nei paesi dell’est fa ancora venire letteralmente i brividi.
Secondo un reportage del Washington Post, a Mosca la paura di Vladimir Putin è palpabile, ma i rapporti fra il Presidente autocrate e le élite militari, burocratiche ed economiche hanno iniziato a logorarsi.
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Cracks emerge in Russian elite as tycoons start to bemoan invasion
Numerose le conferme. La prima è rappresentata dalla clamorosa decisione di “spedire” al fronte, a guidare personalmente le prime linee dell’offensiva nel Donbass, il Vice Ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore, generale Valery Gerasimov.
Non soltanto una plateale sconfessione dell’appena nominato responsabile dell’armata russa in Ucraina, il generale Alexandr Dvornikov, ma anche un implicito diktat a Gerasimov, stratega carismatico molto amato dalle forze armate: o vinci o perisci.
Un’altra conferma viene dagli oligarchi. Sono a dir poco disperati per il precipitare della situazione, ma si sentono impotenti. Temono di non avere scampo, stretti come sono fra la spietata repressione del Cremlino e la confisca dei beni in tutta Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove la Casa Bianca ha iniziato a vendere all’asta yacht, aerei, auto e ville da sogno, depositi di lingotti d’oro e diamanti, immobili e proprietà dei Paperoni di Mosca per circa tre miliardi di dollari, per finanziare parte del massiccio invio di armamenti all’Ucraina.
“In un giorno hanno distrutto ciò che è stato costruito in molti anni. È una catastrofe”, ha detto uno più ricchi uomini del paese convocato da Putin assieme ad altri 36 magnati il giorno dell’invasione, riporta il Washington Post. “Erano tutti seduti, schiacciati. Alcuni di loro non riuscivano nemmeno a parlare. Nessuno ha osato emettere un gemito di protesta” ha aggiunto l’oligarca.
Gli sguardi perduti nel vuoto e le parole farfugliate sono la caratteristica comune di quanti assistono ai discorsi del Presidente russo o hanno colloqui con lui, come recentemente il Ministro della Difesa il generale Sergej Shoigu e la Governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, le dimissioni della quale sono state più volte respinte da Putin.
Solo in una riunione bancaria la Governatrice ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente il disastro economico al quale sta andando incontro il paese. Una critica dirompente che nonostante il carattere schivo della Nabiullina l’ha suo malgrado proiettata, per la credibilità che ha sempre riscosso in Occidente, nel novero delle pochissime personalità, assieme al Ministro degli Esteri Lavrov e al generale Gerasimov, in grado di prendere il posto di Putin in caso di implosione del regime.
C’era anche questa preoccupazione dietro le dimissioni presentate dalla Governatrice. Ma nessuno può dimettersi senza conseguenze dal vertice russo. Nabiullina – scrive il quotidiano di Washington – “capisce benissimo che non può andarsene. Altrimenti finirà molto male per lei”.
Il riferimento corre al giallo dei sei oligarchi morti negli ultimi mesi. Solo la settimana scorsa, a 48 ore l’uno dall’altro, due di loro sono stati trovati senza vita insieme alle loro famiglie. Vittime di quelli che sembrano essere omicidi-suicidi.
Sergey Protosenya, è stato trovato impiccato, accanto alla moglie e alla figlia uccise a pugnalate, il 20 aprile nella villa spagnola affittata con la famiglia per Pasqua. Il figlio della coppia che non era nella villa smentisce nettamente però la ricostruzione della strage e parla di triplice omicidio.
Il giorno prima nel suo appartamento di Mosca si era apparentemente suicidato anche Vladislav Avayev. Accanto a lui la pistola, che sarebbe stata usata per uccidere sua moglie e sua figlia.
Non sono casi isolati. USA Today ha pubblicato nel 2017 un rapporto secondo il quale nel giro di tre anni sono stati uccisi o scomparsi 38 esponenti russi di alto profilo.
Mere statistiche o coincidenze che siano, è consequenziale constatare che da Anna Politkovskaja ad Aleksandr Litvinenko ad Aleksei Navanly, gli oppositori e i critici di Putin vengono puntualmente assassinati, scompaiano, sono avvelenati o finiscono in carcere.
“Il semplice consenso non basta alle dittature: per vivere hanno bisogno di incutere odio e di seminare il terrore”, scritta in riferimento ad Hitler questa considerazione dello scrittore e filosofo tedesco Ernst Jünger è ora sovrapponibile a Putin, nei confronti del quale gli opinionisti e gli storici di quasi tutto il mondo, il 9 maggio, giorno delle affollate celebrazioni della vittoria dell’armata rossa sul nazismo lanceranno l’unanime accusa di ritrovarsi dalla stessa parte del dittatore nazional socialista.
Già la folla. Quella stessa folla, sedotta e ingannata che è “la madre dei tiranni”, capì più di 2500 anni fa Diogene.
Fondatore e Direttore di zerozeronews.it Editorialista di Italpress. Già Condirettore dei Giornali Radio Rai, Capo Redattore Esteri e inviato di guerra al Tg2, inviato antimafia per Tg1 e Rai Palermo al maxiprocesso a cosa nostra. Ha fatto parte delle redazioni di “Viaggio attorno all’uomo” di Sergio Zavoli ed “Il Fatto” di Enzo Biagi. Vincitore nel 2007 del Premio Saint Vincent di giornalismo per il programma “Pianeta Dimenticato” di Radio1.