PAGINE
Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Augusto Cavadi
Quando riflettiamo sulla libertà di pensiero, in realtà, sottintendiamo anche la libertà di parola. E’ ovvio che nessuno può impedirci di pensare in solitudine; ma ciò che rivendichiamo è altresì la libertà di esprimere pubblicamente i nostri pensieri.
I Greci avevano un solo vocabolo – logos – per nominare il pensiero e la parola: ciò che si pensa davvero lo si sa esprimere (Rem tene, verba sequentur, insegnava Marco Porzio Catone) ed è esprimendolo (soprattutto nel dia-logos) che lo si configura, lo si modella, meglio.
La libertà di pensiero/parola, come ogni forma di libertà, ha almeno due facce.
Innanzitutto é libertà ‘da’, libertà ‘negativa’ nel senso che consiste nel ‘non’ avere vincoli: che Stati o Chiese, partiti o mafie, non condizionino dall’esterno la nostra parola. Essa è preziosa, se non altro perché, come notava Giuseppe Prezzolini ben prima dell’era Facebook, senza sarebbe ben difficile riconoscere gli imbecilli.
L’assenza di vincoli visibili, istituzionali, però, non è tutto: possono condizionarci vincoli invisibili, addirittura semi-consapevoli. Le mode, i conformismi sociali, la sete di successo…
Con sottile ironia Mark Twain osservava a proposito dei suoi connazionali qualcosa che vale per l’intera umanità: “È per bontà divina che nel nostro paese abbiamo queste tre cose indicibilmente preziose: la libertà di parola, la libertà di coscienza, e la prudenza di non praticare mai nessuna di esse”.
La libertà ‘da’ (condizionamenti fisici o psichici) é metà della mela; l’altra metà è la libertà ‘di’, la libertà in ‘positivo’.
Questa ci viene dalla nostra ricchezza interiore, dalla nostra meditazione, dal nostro silenzio; come pure dal nostro coraggio.
La riprova? Ci sono scrittori, poeti, registi che vivono in Paesi abbastanza democratici e producono molto meno, e molto meno bene, di colleghi che vivono sotto dittature. Le assemblee ‘politiche’ ieri, le piazze telematiche oggi, lo confermano platealmente: la libertà di pensiero/parola non è nulla se non è maturato dentro di noi qualcosa da comunicare. La libertà di pensare/dire ‘minchiate’ è solo la caricatura della libertà autentica. In maniera più elegante Cesare Marchi si chiedeva: “Viviamo, giustamente orgogliosi, in un regime di libertà di parola; ma com’è possibile esercitarla, se ne conosciamo così poche?”.
Una volta appurato che libertà intera é la somma della libertà ‘da’ e della libertà ‘di’, si potrebbe concludere che tale libertà completa è senza vincoli di nessun genere. Ciò è quanto comunemente si ritiene, ma sospetto che si tratti di un’opinione fallace.
A mio avviso, infatti, la libertà di logos è come un ruscello alpino: tanto più energico e vivace quanto meglio trattenuto da due sponde. Senza argini, si disperderebbe dopo pochi metri e scadrebbe ad acquitrino.
Un primo paletto da rispettare – ovviamente mi riferisco qua a forme di autocontrollo – è l’autenticità. Il pensare/parlare con sincerità affermando sempre, e solo, ciò di cui si è convinti profondamente e che si tende a incarnare esistenzialmente.
Per quanto basilare, l’autenticità non é tutto. E’ capitato a molti di noi di essere sinceramente convinti di una tesi, di averla sostenuta e difesa per decenni, anche a costo di non poche rinunzie: ma poi lo studio, la riflessione, il confronto con altre posizioni…ci ha convinto che eravamo nell’errore. E abbiamo mutato prospettiva sul mondo. Se l’autenticità fosse tutto, i fanatici di ogni religione o ideologia politica sarebbero a posto. No: libertà è anche continua obbedienza alle lezioni della realtà, della natura, della storia. Essere fedeli alle ‘cose’ (che è poi il modo di tendere a quei frammenti di ‘verità’ accessibile a noi umani) non riduce e mortifica la nostra libertà di logos, ma le conferisce forza e dignità.