Gli anniversari passano stanchi, corrosi dalla retorica e dall’oblio. Strage Borsellino: 30 anni. Agguato a Boris Giuliano: 43 anni. Rosario Livatino: 32 anni. Duplice omicidio Nino Agostino e Ida Castelluccio: 33 anni. Delitto Saetta: 34 anni. Strage Chinnici: 39 anni. Uccisione Procuratore Gaetano Costa: 42anni. Cesare Terranova e Lenin Mancuso: 43 anni. Padre Pino Puglisi: 29 anni. Omicidio di Ninni Cassarà: 37 anni. Beppe Montana: 37 anni. Capitano D’Aleo 39 anni. Massacro Dalla Chiesa: 40 anni. Lupara bianca Mauro De Mauro: 52 anni…
I giorni e gli anni delle terribili estati di mafia di Palermo si alternano ripetitivi, senza mai un bagliore di verità e giustizia, terribilmente fini a sé stessi e con l’agghiacciante prospettiva di trasformarsi nei funerali dello Stato di diritto e della Costituzione.
Inevitabile che dietro le quinte delle cerimonie commemorative, oltre alla sentita partecipazione popolare, lieviti anche il dolore non rimarginabile dei familiari e della società civile, per le molte ingiustizie subite, l’amarissimo retrogusto esistenziale della solitudine e delle dimenticanze, per gli inquietanti interrogativi senza risposte. “È un percorso nel proprio dolore che porta a guardarti dentro ed affrontarne le diverse fasi” sottolinea la magistrata ed europarlamentare Caterina Chinnici, la più grande dei tre figli del Consigliere Istruttore di Palermo.
“Niente parole vuote, ma verità” insiste Fiammetta Borsellino. “Con le mie sorelle Lucia e Fiammetta diserterò anche quest’anno le cerimonie commemorative” aggiunge Manfredi Borsellino funzionario di Polizia a Palermo. “In questi trenta anni le uniche iniziative per gli anniversari di noi tre figli, assieme a nostra madre Agnese, scomparsa da qualche anno, sono state le telefonate a Padre Cosimo Scordato per l’orario delle messe di suffragio private” si limita a specificare il figlio del Procuratore Paolo Borsellino.
“Le commemorazioni sono rituali soltanto di facciata. Lo Stato abbandonò mio marito” è il circostanziato j’accuse di Laura Iacovoni Cassarà che rimbomba ogni anno dagli archivi web. “Se si esamina il contesto nel quale avvenne l’agguato, é assolutamente certo che ci sia stato qualcuno da dentro la Questura che abbia dato informazioni precise sull’improvviso rientro di mio marito che in quel periodo, non aveva assolutamente orari fissi” – aggiunse in un’intervista esclusiva per l’ ”Eco di San Gabriele”, il mensile dei padri passionisti, la vedova di Ninni Cassarà, fra le cui braccia morì colpito a morte da una tempesta di colpi di Kalashinikov il vice Questore stratega operativo assieme a Giovanni Falcone delle indagini antimafia.
“La verità parziale l’abbiamo avuta, ma c’è sempre un pezzo che manca, che rimane fuori e non si può provare in tribunale” – ha affermato in tv il figlio del Generale, il Prof. Nando Dalla Chiesa.
“Forse inconsciamente non si vuole cercare la verità perché si ha paura di trovarla” scrisse polemicamente a proposito dell’assassinio del padre, il Procuratore capo di Palermo Gaetano Costa, l’avvocato penalista Michele Costa.
Anche se essenziali all’elaborazione della memoria collettiva e alla sua trasfigurazione in esempi storici, le commemorazioni da sole non bastano, soprattutto se invece di esorcizzare l’angoscia si trasformano in retorica dell’apparenza.
“La retorica dovrebbe essere un ponte, una strada, ma in genere è una muraglia, un ostacolo”, scriveva Jorge Louis Borges. Un ostacolo alla verità.