Risvolti politici, giudiziari e diplomatici. La battaglia navale di Lampedusa è destinata a svilupparsi ancora lungo questi tre ambiti.
L’arresto del Comandante della Sea Watch, Carola Rackete, che ha forzato il blocco navale, ha ulteriormente alzato il livello dello scontro politico interno e internazionale.
Dopo l’arrembaggio notturno alla banchina del porto di Lampedusa, arrembaggio con annesso tentativo di speronamento di una unità delle fiamme gialle che ha fatto evocare l’epopea dell’irlandese Anne Bonny, una delle numerose corsare donne del settecento, il Capitano Rackete è stata posta in stato d’arresto per violazione dell’articolo 1100 del codice della navigazione.
Lunedì la magistratura deciderà se lasciarla agli arresti domiciliari nell’arcipelago delle Pelagie o trasferirla in carcere ad Agrigento. In base agli eventuali riscontri delle accuse rischia una condanna tra i 3 e i 10 anni di reclusione.
Oltre alla plateale sfida nei confronti del Vice Premier e Ministro del’Interno Matteo Salvini, della magistratura e delle forze dell’ordine, il blitz della nave olandese viene interpretato come un tentativo mediatico di ribaltare la difficile situazione giuridica e giudiziaria del capitano Rackete, già iscritta sul registro degli indagati dalla Procura di Agrigento e convocata per un interrogatorio in merito all’inchiesta avviata nei suoi confronti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione dell’articolo 1099 del codice della navigazione per non avere obbedito agli ordini della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera.
Provocazione politica o meno, oppure come ritengono in molti mossa strategica premeditata, la sortita della nave olandese ha intersecato infatti tutta complessa serie di situazioni concentriche: la tragedia degli immigrati messicani annegati nel Rio Grande, la minaccia della procedura di infrazione per l’Italia, le difficoltà per l’attribuzione di un incarico di rilevo nei nuovi assetti europei e l’escalation dei contrasti fra Lega e 5 Stelle per la flat tax e l’autonomia regionale.
Una somma di criticità alla che l’incontrollabile impennata, quasi alla ricerca dell’incidente, della Sea Watch ha rischiato di far deflagrare.
Scenari confermati dall’arrivo a Lampedusa di numerosi esponenti politici d’opposizione e dalla concentrazione mediatica sottolineata dalle aperture dei Tg, dalle continue dirette satellitari e dalle prime pagine dei giornali.
Lampedusa insomma come una sorta di Vietnam o di Stalingrado mediatici. Un’ isola assurta a simbolo e sulla quale arroccarsi per arrestare l’avanzata elettorale di Salvini e preparare la controffensiva politica.
Una battaglia geopolitica globale sulla pelle delle vittime della tragedia mondiale dell’immigrazione, combattuta più sui social, sull’etere televisivo e sulla stampa che nei Parlamenti, alla Commissione Europea, alle Nazioni Unite e al G20 per varare riforme che risolvano la crisi umanitaria dei profughi o quanto meno scongiurino lo stillicidio quotidiano di naufragi ed emergenze.