Settanta anni che pesano quanto le lame di tutte le gigliottine della storia per il compleanno di guerra di Vladimir Putin. Il primo? l’ultimo ? sono alcune delle domande inquietanti che allarmano il mondo.
Prima che il Presidente russo pensi di festeggiarlo con la “accidentale coincidenza” dell’ennesimo delitto politico di un oppositore, come quello dell’assassinio della giornalista Anna Politkovskaja, il 7 ottobre del 2006, a Mosca, il mondo gli ha recapitato un inequivocabile segnale di sdegno e di condanna: il conferimento del Premio Nobel per la pace all’organizzazione russa per i diritti umani Memorial e a due Ong della Bielorussia e dell’Ucraina mobilitate in prima fila sul fronte dell’antimilitarismo e della difesa dei principi del diritto.
E’ un riconoscimento al popolo russo che non vuole la guerra, sottolineano sottovoce gli attivisti moscoviti dell’associazione Memorial: “l’inaspettata ondata di solidarietà in corso in Russia nei confronti dei profughi ucraini é una vera e propria forma di protesta della società contro la guerra” ha affermato in una intervista rilasciata ad agosto Mosca all’agenzia Agi la veterana dei diritti umani russa, Svetlana Gannushkina, responsabile di Memorial.
Definita “agente straniero”, dalle autorità l’ex professoressa di matematica considerata l’ultima autorità morale ancora in patria, é stata fermata dalla polizia il 6 marzo, nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Gannushkina ha ricevuto minacce e perquisizioni di ogni genere ma è rimasta sempre in prima linea ed il conferimento assieme ad altri esponenti bielorussi e ucraini del Nobel della pace le conferisce il ruolo di punto di riferimento per l’opposizione morale e politica a Putin. Gli auguri più sibillini sono giunti al Cremlino dal Presidente turco:” la peggiore pace é migliore della guerra” ha detto Erdogan a Putin. Mentre il messaggio di compleanno del dittatore nord coreano Kim Jong Un augura al “collega” russo il successo nella “costruzione di una Russia potente”.
Un augurio smentito sui fronti incandescenti dell’Ucraina da tutti i bollettini di guerra, anche da quelli moscoviti. Secondo i report dell’intelligence britannica che, assieme agli Usa, monitora attraverso i satelliti la situazione sul campo, la ritirata dell’armata russa tanto sulla direttrice di Donetsk e Lugansk, quanto alla periferia di Kherson è talmente precipitosa che i reparti prima di arrendersi o arretrare non riescono a distruggere carri armati, blindati e vari tipi di armamenti che vengono catturati dagli ucraini e utilizzati per aumentare l’impatto della controffensiva. Di conseguenza – afferma l’intelligence inglese – ormai più della metà dei carri armati e di vari tipi di tank corazzati utilizzati dall’Ucraina sono mezzi sottratti ai russi. Il rapporto parla di almeno 440 carri armati russi e circa 650 altri mezzi blindati rischierati dalle forze ucraine. Il che disorienta e amplifica la demoralizzazione delle truppe russe, già penalizzate dallo scarso stato di addestramento e i bassi livelli di disciplina in battaglia. La ritirata di Mosca si sta trasformando in una fuga di massa oltre i confini della Russia, da dove era partita l’invasione.
Dalla cupa cortina di silenzio e di paura che circonda il Cremlino è trapelata la notizia che uno degli esponenti del ristrettissimo circolo di Vladimir Putin ha manifestato direttamente il suo disaccordo al presidente russo sulla gestione della guerra in Ucraina. Lo riporta il Washington Post citando fonti del Pentagono. Dopo essere stata verificata dall’intelligence americana, l’informazione è stata inserita nel briefing che riceve quotidianamente il Presidente Joe Biden, evidenziandone quindi la rilevanza. “Ci sono molte persone” al Cremlino “convinte che” la guerra “non sta andando bene o va nella direzione sbagliata” commentano gli ambienti della Casa Bianca. Mentre a Mosca anche le troppe ombre riflettono inquietudine.