by Beatrice Agnello
A che cosa posso pensare in questo momento se non alla carissima amica scomparsa Giuditta Cimino?
Ne ho riletto oggi pomeriggio qualche scritto e ne riporto uno del 2004, che fa parte di una piccola raccolta di scritti pubblicati privatamente per pochi amici nel 2023, con elegante cura grafica di Laura Zanca e Giulia Barbera (cugina e pronipote dell’autrice).

<<Avevo sedici anni, boccheggiavo sul letto seminuda nella penombra di un rovente pomeriggio d’estate e mi sentivo importante perché stavo leggendo Il Gattopardo, una cosa nuova che con molto fragore era esplosa nella cultura italiana sei anni prima, quando non avevo ancora l’età per una lettura adulta che non fosse un classico canonizzato per la gioventù: “…il sonno, caro Chevalley, il sonno è quello che i siciliani vogliono… la nostra sensualità è desiderio di oblio… desiderio di immobilità voluttuosa… la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorzonera e cannella…”. Mi avvolge un ciclone di sensualità prorompente, una sensualità goffa e acerba, una sensualità che non mi pare sessuale (proprio no? no davvero?) ma che sento comunque scomoda per il mio corpo accaldato e inconsapevole, è una sensualità a tutto campo del gusto, dell’olfatto, del tatto. Ma che è ’sto gelato di scorzonera e cannella? Mai sentito, mai visto, mai provato.
Nell’altra stanza langue sul suo letto mia madre, anche lei con un libro in mano, anche lei nella penombra, elegantemente e pudicamente avvolta in un pareo che le lascia scoperte le gambe le braccia e le spalle (niente a che vedere con la mia ruspante e scomposta seminudità), ha circa quaranta anni, mi pare quieta, appagata e anche un po’ sorniona, deve saperla lunga in fatto di sensualità. Ma che è ‘sto gelato di scorzonera e cannella? Una cosa antica. Ma dove si può provare?
Vediamo, andiamo a prendere un gelato come quello del Gattopardo. Usciamo in macchina, una specie di catamarano decappottabile anni ’50, mia madre al volante con vestito turchese, con l’ombretto turchese sulle palpebre e la matita blu marino sbrigativamente sfregata dentro al bordo degli occhi.
Prima tappa via dei Pannieri, antica gelateria artigiana e popolare anteguerra, sì, c’è ancora, ma offre solo gelati al gusto di torrone, nocciola, fragola, limone, caffè, cioccolato… niente scorzonera e cannella. Andiamo alla storica Birreria Italia, via Cavour, no, niente gelati, ora c’è un moderno self-service all’americana per pasti volanti di bancari e rappresentanti di commercio. Allora da Ilardo alla Marina, i famosi “pezzi duri” della migliore tradizione gelatiera palermitana: giardinetto, parfait, cioccolato chantilly, bomba, zuccotto… ma niente scorzonera e cannella. Siamo nei primi anni ’60, in piena latenza della memoria storica locale, il dopoguerra appena alle spalle, il futuro e la modernità spianati davanti a noi. Torniamo a casa un po’ frustrate, ma contente di questa strana passeggiata nella città deserta.
Oggi, in tempi di pseudo-recupero superficiale e consumistico di mai conosciute identità perdute, qualunque gelateria di borgata ti propone il gelato di gelsomino e cannella, cioè di schiuma da barba e deodorante per ambienti.>>

Giuditta Cimino, esponente di una famiglia che ha profuso intelligenza e impegno civile in Sicilia, é morta domenica nella sua casa del centro storico di Palermo, la stessa dove aveva vissuto con suo padre Marcello, storico giornalista di punta del quotidiano L’Ora, e sua madre Giuliana Saladino, giornalista e scrittrice, che a quel palazzo di via Maqueda 110 ha dedicato bellissime pagine in “Romanzo civile” (Sellerio, 2000).
Nei balconi dello stesso palazzo (antica dimora della famiglia Saladino), dopo le stragi del 1992, erano comparsi i primi lenzuoli dedicati a Falcone e Borsellino che chiamavano alla ribellione contro la mafia, ideati dalla sorella di Giuditta, Marta. Quei segni di rivolta proliferarono in altre finestre di tutta Palermo, si raccolsero nel “Comitato dei lenzuoli” poi divenuto noto a livello internazionale, e diedero il via a una grande stagione antimafiosa della città.
Giuditta, filologa classica che aveva frequentato la Normale di Pisa, aveva poi fatto la bibliotecaria e la direttrice del laboratorio di restauro della Biblioteca centrale della Regione siciliana; era moglie del noto grecista, già preside della Facoltà di Lettere di Palermo e attuale direttore dell’Istituto Gramsci siciliano, Salvatore Nicosia, e madre attenta e affettuosa di due splendidi figli, Emanuele e Olimpia.
È stata, per scelta, la più appartata della sua grande famiglia di intellettuali, ha dato molto a chi le era vicino – amici, parenti, persone che hanno lavorato con lei – più che alla vita pubblica, benché avesse ereditato dai suoi genitori una passione politica che non ha abbandonato fino agli ultimi giorni della sua vita, in cui, anche se sofferente, ancora discuteva con impetuosa partecipazione delle minacce alla pace, alla democrazia, alla civiltà.
Dai suoi genitori aveva ereditato qualità non misurabili con i riscontri produttivi: la conversazione aperta e intelligente, l’anticonformismo, il gran senso di ospitalità, l’attitudine cosmopolita, uno stile di vita che Giuliana ha definito nel suo romanzo da “miliardari squattrinati”, fatto di musica e letture, di convivialità, di amicizie profonde con cui condividere però anche la leggerezza dell’ironia, di senso della comunità e dell’impegno civile ma anche di gelsomini e crepuscoli color di perla sul terrazzo. Dove lo trovi più questo stile, in un mondo dove miliardari per censo grondano arroganza e pacchianeria sui loro yacht, sui loro aerei e fra poco forse anche su Marte, in una desolante povertà di spirito?

