In apparenza tutto soft power e sobrietà, il Governo Draghi in soli sette giorni dall’esordio alle dichiarazioni programmatiche, al quasi pieno dei voti di fiducia alla Camera e al Senato, ha già assunto il ritmo di un rullo compressore politico.
L’impatto parlamentare del nuovo esecutivo oltre a terremotare gli equilibri interni di tutti partiti della maggioranza pragmatica di unità nazionale, ha avviato una nuova inedita fase della governabilità.
Una nuova fase che potrebbe preludere alla svolta della quarta repubblica, la Repubblica di Sergio Mattarella e di Mario Draghi, che sta nascendo dalle ceneri di una politica consumatasi fino all’estremo rischio di un Paese trascinato sull’orlo del baratro di una crisi concentrica, sanitaria economica e sociale.
Come per la Francia, dove il succedersi dell’assetto repubblicano è stato scandito da rivoluzioni, conflitti e sconfitte, per l’Italia il Governo Draghi potrebbe segnare il superamento delle fasi storiche della ricostruzione del dopoguerra, del centralismo democristiano, dell’implosione dei partiti e del marasma delle elezioni senza vincitori né vinti.
Lo dimostrano il buco nero che sul piano astronomico-politico è sul punto di inghiottire i Cinque Stelle e le scosse di assestamento che hanno iniziato a scuotere il Pd, Forza Italia la Lega e la sinistra.
Assestamento che lascia prevedere una nomina all’inizio della prossima settimana di una quarantina fra vice Ministri e Sottosegretari operata quasi esclusivamente da Palazzo Chigi, come per la scelta dei Ministri.
Sul piano internazionale il soft power dell’esordio parlamentare di Mario Draghi sì è trasformato in un direct effective power con l’unanime riconoscimento, come mai era avvenuto in precedenza del ruolo di prestigio e di effettiva credibilità attribuiti al nuovo Premier dell’Italia da parte di tutti i leader del G7: dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, al Premier inglese Boris Johnson, dalla Cancelliera tedesca al Presidente Francese, dai vertici del Unione Europea ai Premier di Canada e Giappone.
A fare la differenza anche gli interventi di Draghi alla Corte dei Conti, con la sollecitazione ai magistrati contabili ad essere intransigenti, ma soprattutto rapidi nei controlli e a non sfuggire alle proprie responsabilità, e della neo Ministra della Giustizia Marta Cartabia che ha riunito i capigruppo parlamentari della maggioranza ed ha fatto condividere loro un ordine del giorno scritto da lei sui tempi e i modi d’affrontare i nodi della riforma dei processi e della prescrizione.

Due mosse che solo qualche settimana fa, con altri esecutivi, avrebbero suscitato a dir poco mal di pancia e polemiche e che invece hanno riscosso plausi e riconoscimenti.
Pochi nemici buona politica? O è soltanto, come ipotizzano gli ambienti parlamentari, l’antidoto dei politici di lungo corso che ricorrono al metodo descritto dal proverbio siciliano “calati juncu, ca passa a china”, piegati giunco fino a quando non passa la piena? Fare cioè buon viso a cattivo gioco ed aspettare il momento opportuno per venire allo scoperto.
Una malizia che politicamente, con l’incalzare degli interventi già programmati dal Governo Draghi, non tiene in considerazione che la situazione in cui versano i partiti è la somma di ciò che non hanno saputo calcolare…