Non solo débâcle Macron, come titolano già i media parigini e mondiali. Delle molte sfumature negative della netta sfiducia con la quale l’Assemblea Nazionale francese ha licenziato l’effimero Governo Barnier, ve ne sono numerose che riguardano il ruolo della Francia a Bruxelles, la storica alleanza franco tedesca che dal dopo De Gaulle faceva il bello e il cattivo tempo in Europa, e soprattutto le prospettive politiche per l’Eliseo.

Il singolare paradosso delle convergenze parallele, teorizzate da Aldo Moro sulla riva del Tevere e a distanza di mezzo secolo concretizzatesi lungo la Senna, con la mozione di sfiducia della sinistra del leader più antifascista di tutte le cinque repubbliche francesi, Jean-Luc Mélenchon, votata da Marine Le Pen leader sovranista considerata l’erede della tradizione collaborazionista del Maresciallo Pétain, rappresenta l’esasperazione della crasi che sta dividendo non soltanto la politica, ma anche la società, la cultura e l’economia della Francia.

Sembra di assistere alla famosa definizione della scrittrice parigina Fred Vargas che “fra il precipizio e la grandiosità non c’è nemmeno la distanza di un’unghia.”
A meno di 3 mesi dalla nomina del governo e sei mesi dopo la decisione del Presidente Emmanuel Macron di sciogliere il Parlamento dopo le elezioni europee, la sfiducia dell’Assemblée Nationale ha ridotto in macerie lo scenario politico al cospetto di grandi cambiamenti internazionali, come l’esordio della nuova commissione europea e l’insediamento del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump.

Ed è soprattutto la prima volta che tanto la Francia quanto la Germania, entrambe alle prese con una inedita e pesantissima crisi economica e un galoppante disavanzo del debito pubblico, vivono una situazione di contemporanea crisi di governo e si ritrovano sovraesposte alle speculazioni dei mercati internazionali con due esecutivi dimissionari, in carica solo per gli affari correnti.
Grande l’incertezza sul futuro della Francia, che dovrà vedersela anche con una manovra finanziaria che quasi certamente non avrà più possibilità di essere approvata e metterà a dura prova la presidenza di Emmanuel Macron le cui dimissioni vengono reclamate a gran voce per interessi contrapposti tanto da Melenchon che da Le Pen.
La leader del Rassemblement National punta a bruciare i tempi e a ricandidarsi all’Eliseo perché teme di essere condannata e di subire l’ineleggibilità nel processo agli sgoccioli per presunte appropriazioni indebite di fondi del Parlamento europeo.
Mélenchon é convinto, invece, che tenendo sulla corda Macron fino alle prossime elezioni, la sinistra unita in un fronte neo mitterandiano, ma guidato da lui, riuscirà a battere neo gollisti e lepeniani.

Secondo fonti vicine all’Eliseo, Macron da parte sua intende logorare e dividere le due opposizioni e trattando al rialzo, o al ribasso, a secondo i punti di vista, varare un nuovo governo che faccia uscire la Francia dall’esercizio finanziario provvisorio e scongiuri il rischio di non riuscire a mantenere il deficit pubblico sotto il 5%.
Fra i probabili successori di Barnier si fanno i nomi dell’ex premier socialista Bernard Cazeneuve, del centrista François Bayrou e del ministro della Difesa, Sébastien Lecornu.
Secondo la Costituzione, sciogliere le Camere non é più possibile, prima di un anno dal voto dell’estate scorsa. Restano quindi altre due opzioni: un nuovo governo, che avrà le stesse difficoltà a tenersi in piedi o le dimissioni del presidente. Dimissioni che Macron ha definito fantapolitiche.
