Gli algoritmi corrono veloci come cani da caccia nella foresta della conoscenza. Inseguono la preda più ambita, danno la caccia all’anima.
Find the soul, trovare l’anima. Deep soul, animo profondo. Deep thought, pensiero profondo: questi i nomi di alcuni programmi di ricerca dei social network, e di vari apparati militari, che impegnano migliaia di algoritmi per trasformare in un paradigma matematico quell’insieme di impulso vitale, esperienza e psiche che definiamo anima.
Una formula che consenta di intercettare e decrittare le infinitesimali combinazioni psichiche individuali degli impulsi profondi dell’animo umano, cioè emozioni, reazioni, ideali, paure, gusti, tendenze, piaceri.
Un algoritmo dell’anima in grado non solo di influenzare l’economia, ma soprattutto di controllare l’intera umanità.
Gli scenari successivi rischiano di essere, se possibile, ancora più sconvolgenti. I sistemi di intelligenza artificiale connessi direttamente alla rete potrebbero infatti dar vita ad androidi in grado di provare sensazioni, emozioni, dolore, gioia e capacità di elaborare pensieri immagazzinati nelle loro memorie standard dagli algoritmi dell’anima.
Una svolta cruciale, esistenziale, per la civiltà umana, di cui già si intuiscono gli sviluppi, perché le tecniche di apprendimento profondo, con le quali le reti vengono addestrate su enormi archivi di dati, hanno applicazioni commerciali che vanno dalle automobili a guida autonoma, ai siti Internet che consigliano prodotti in base al tracciato delle ricerche, dei contatti e della navigazione di ciascun utente di Internet e dei social media. La conoscenza viene cioè progressivamente acquisita nella rete, e non più in noi.
“Tutto quello che la nostra civiltà é riuscita a raggiungere – ha recentemente sottolineato il Professore Stephen Hawking, lo scienziato britannico ritenuto fra i più influenti fisici teorici al mondo – è il prodotto dell’intelligenza umana, dal saper padroneggiare il fuoco, al coltivare il cibo, alla conoscenza del cosmo”.
