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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Tutte le vite hanno in sé qualcosa di unico e di irripetibile, anche le più banali. Ma alcune si rivelano fuori dal comune, straordinarie. Come definire se non straordinaria la vita di René Favaloro, il medico argentino oriundo italiano che per primo mise in pratica la tecnica del bypass aorto-coronarico evitando a tantissime esistenze una fine precoce?
A raccontarcela in un libro intenso e appassionante è Luca Serafini, giornalista conosciuto soprattutto come opinionista di programmi televisivi di calcio ma anche scrittore. Il libro s’intitola “Sigue vivo. Chi ha ucciso René G. Favaloro?” ed è edito da Giambra.

Raccontare una vita eccezionale, sia per come è stata vissuta sia per l’epilogo (purtroppo in questo caso) tristissimo, potrebbe sembrare facile: i fatti hanno rilievo da soli, metterli in sequenza per offrirli ai lettori non consta fatica né richiede particolare abilità. Invece non è così: dinanzi a figure di non comune spessore, si rischia, nel ripercorrerne le tappe dell’esistenza, di lasciarsi sopraffare dall’enfasi e dalla facile, smisurata esaltazione. Ciò non accade a Serafini che ci presenta Favaloro senza cedere alle tentazioni della retorica.
Il pregio del suo libro è di avere saputo focalizzare ciò che ha connotato la biografia di Favaloro: l’umiltà, la passione per l’esercizio della professione medica finalizzata a soccorrere il prossimo e soprattutto i più bisognosi, l’interesse per la ricerca e per la formazione volani del progresso scientifico.
L’umiltà fece parte del patrimonio familiare di Favaloro: il padre era falegname e la madre sarta e, come gli raccomandava uno zio medico, per esercitare l’arte di Ippocrate ciò che conta è essere pazienti, precisi e meticolosi come lo sono i falegnami e i sarti. La passione per la medicina di Favaloro si è espressa e potenziata nei villaggi poveri della provincia di La Pampa.
La ricerca, Favaloro l’ha coltivata alla Clinica Cheveland negli Stati Uniti d’America, dove si trasferì agli inizi degli anni ’60 per specializzarsi negli interventi chirurgici al cuore, sino a realizzare nel ’67 il primo bypass. Poi il ritorno in Argentina dove, con grandi difficoltà, animato dalla fede per il progresso medico, fondò la Fondazione Favaloro.
