by Gianfranco D’Anna
Il Papa umile e gli statisti, i Re e i leader della Terra. Quella stessa umiltà che, secondo Sant’Agostino, rende gli uomini uguali agli angeli mentre l’orgoglio e la superbia li trasforma in diavoli.
Un impatto ieratico, con la semplice bara di legno di Papa Bergoglio e il parterre dei potenti sul sagrato di San Pietro che sembrano trasfigurare nel cielo terso di una Roma caput mundi il miracolo di San Francesco d’Assisi capace con la sola forza della fede, dell’umiltà e della carità di prospettare al mondo e all’umanità del 1200, al culmine delle Crociate, un epocale messaggio di pace e di fratellanza universale.
E’ la grande visione che promana dal feretro del Franciscus dei due mondi, acclamato Sommo Pontefice di una Chiesa Universale e da lui subito protesa all’evangelizzazione del mondo a cominciare dalle periferie dimenticate.
Un Papa che oltre a interpretare lo spirito di San Francesco del quale ha assunto rivoluzionariamente il nome, non ha dimenticato l’imprintig del Gesuita insieme pervicacemente tradizionalista e di frontiera.
Quasi a simboleggiare l’utopia dell’orizzonte, l’eredità che si sprigiona da quell’umile bara di legno dinnanzi alla quale si inchinano i potenti, le gerarchie ecclesiastiche e i vertici di tutte le religioni, ha già miracolosamente rilanciato il ruolo del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica ponendoli al centro del mondo come non avveniva dal Concilio Ecumenico Vaticano di 64 anni addietro.
“L’utopia é come l’orizzonte – scrive lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano – cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte é irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare.”
Camminando per tutti i continenti Jorge Mario Bergoglio interpretava l’utopia gesuitica della salvezza del mondo attraverso l’impegno spirituale e l’azione concreta, mentre nel nome di Francesco inseguiva da Papa l’orizzonte della pace e della bontà.
Un’utopia dell’orizzonte della fede autenticamente vissuta da Papa Francesco che col sorriso, la tenerezza e la semplicità ha toccato e convertito, assieme alle folle indistinte dell’umanità, l’animo di molti potenti che dopo averlo osteggiato, criticato e dileggiato sono corsi a Roma per inchinarsi davanti alla sua umile bara. Non per celebrarsi, ma per celebrarlo.
L’altro miracolo é quello di avere denudato i grandi nemici della pace: Putin, Netanyahu ed il fondamentalismo islamico. Impresentabili ai funerali del Pontefice della pace e degli indifesi e perciò stesso auto-scomunicatisi nell‘immaginario collettivo dell’opinione pubblica internazionale. Un sentiment globale che ha scatenato i media mondiali che si sono letteralmente precipitati a Piazza San Pietro e sul lungo Tevere, fra l’isola Tiberina e Castel Sant’Angelo, a caccia dell’impareggiabile audience vaticana moltiplicata dall’infinita aneddotica popolare della Bergoglio story e delle trame dal vero del Conclave, più originali delle fiction cinematografiche.
Media folgorati anche dalla molteplice simbologia della scomparsa del Vicario di Cristo verificatasi proprio il lunedì dell’Angelo che secondo i Vangeli segna l’annuncio della resurrezione di Gesù, nel bel mezzo dell’anno del Giubileo e in concomitanza col Natale di Roma.

Un colossale insieme di kermesse, sitcom, talk show e reality in presa diretta e con indici d’ascolto superiori a quelli di tutta la programmazione televisiva. Santità e pubblicità, gossip e influencer: un kolossal stile “I dieci Comandamenti”, pervaso dalle speranze di continuità bergogliana dei papa boys e dal cinismo dei papa selfie.

Lo evidenziano i primi piani e i teleobiettivi puntati sulle espressioni da Joker di Donald Trump ed il suo ciuffo sostenuto dalla lacca, l’austera mise e gli zigomi della First Lady Melania che oggi festeggia il 55esimo compleanno, la glaciale indifferenza fra la Regina Letizia e Re Filippo di Spagna;
la tensione che si legge nello sguardo del presidente ucraino Zelensky, eccezionalmente in giacca e cravatta e reduce da un faccia a faccia mattutino col Presidente americano; l’aplomb da futuro Re d’Inghilterra del Principe del Galles Willian; il peso degli anni del Segretario Generale dell’Onu Guterres e dell’ex Presidente Usa Joe Biden; le sbirciate verso Trump della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen; l’attesa dell’eventuale saluto fra l’impassibile Ministra russa delegata da Putin, Olga Lyubimova, e il Presidente americano; la commossa partecipazione alle preghiere della concelebrazione eucaristica del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; gli occhiali da sole e l’imperturbabile piglio della Premier Meloni.

Molto insistita pure la vivisezione televisiva dei volti, delle mani, della postura dei Cardinali papabili: il sornione atteggiamento d’attesa di Parolin, i sorrisi di Zuppi, le mani giunte di Tagle, la barba paterna di Pizzaballa, la disillusione di Schönborn, e poi i porporati africani e l’ungherese Péter Erdő, preso in giro dai confratelli che ipotizzano un “Dubito Erdo sum” come suo eventuale motto papale.
