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Rubrica di critica recensioni anticipazioni 
by Francesco Macchiarella*
Non si trovano sufficienti aggettivi per descrivere la situazione che da parecchi mesi ormai stiamo vivendo a causa dell’epidemia in corso.
Non vi è dubbio alcuno che il modo di vedere il mondo, la propria vita trascorsa e le prospettive di essa è cambiato anche se ognuno ne ha percezione diversa.
La percezione, quella immediata, giornaliera, deriva dalle informazioni che ciascuno, o almeno quelli che non si limitano ai social, attinge da più fonti, non fosse altro perché non riesce a sottrarsi da uno sguardo alla Tv di casa accesa per diverse ore in più che in passato per soddisfare la sete di notizie di qualcuno dei propri “congiunti conviventi”.
Non ci meraviglieremmo se apprendessimo domani di un incremento dell’audience di programmi televisivi di scarso per non dire inesistente livello culturale, giusto perché in tanti potrebbero aver voluto distrarsi dal bombardamento perenne e pressoché monotematico.
Certo mai avremmo pensato di trascorrere le giornate precedenti le festività natalizie guardando in Tv i volti iconici non di celebri chef che ci suggeriscono il menù del pranzo di Natale, ma quelli altrettanto iconici ormai di virologi, infettivologi epidemiologi, ma persino dermatologi di cui conosciamo persino i tic ed i cui volti ed espressioni sono diventati preziosa fonte per comici e imitatori.
E’ giusto e naturale che si osservi come il mondo intero stia cambiando, ma sta cambiando soprattutto l’intera Europa, quel mondo occidentale da cui da decenni traiamo ispirazione e giusto spirito competitivo. E sta cambiando al cospetto di criticità talmente gravi da minare gli stessi fondamentali principi democratici cui queste Nazioni si ispirano.
Non è trascurabile dal nostro punto di vista il modo di atteggiarsi in questo frangente tragico del mondo della informazione sia cartacea che televisiva.
Da una parte il mondo dei giornali, sempre più (ahinoi) marginale, costretto a un ridimensionamento costante che ne fa oggi strumenti a uso e consumo di pochi consapevoli, o forse no, di quanto i giornali siano diventati – senza eccezioni temiamo – contenitori di noti- zie, poche e spesso mal riportate, ma soprattutto di opinioni, illazioni, ipotesi di evoluzioni o più spesso involuzioni del mondo politico, sembrerebbe col preciso obiettivo di difendere a ogni costo la parte politica cui la linea editoriale si ispira e vantare la propria pole position per la ospitata in Tv del pomeriggio o della sera.
A partire dalla seconda metà degli anni settanta ci siamo via via abituati alla trasformazione dei giornali da divulgatori di notizie a contenitori di opinioni. Abbiamo imparato a ri- conoscere e talvolta apprezzare gli opinion leaders, personaggi per citarne soltanto due, come Montanelli o Scalfari.
In Tv il fenomeno appare più vistoso e diremmo allarmante, visto il peso indiscusso che i programmi televisivi hanno per il formarsi dell’opinione pubblica, come del resto abbiamo imparato dall’avvento dell’epoca berlusconiana che così cercò e riuscì a sovvertire il vantaggio della carta stampata in favore degli opinionisti in Tv, più o meno dissimulati.
In Tv assistiamo ormai da tempo a una situazione che con l’avvento della pandemia sembra essersi aggravata.
Nei numerosi talk show che da mane a sera tarda occupano gli spazi televisivi troviamo sempre gli stessi ospiti. Il mondo dei giornalisti, diciamo intervistati, pare sia ridotto a una dozzina (non saremo stati troppo generosi?) di cui, come gli scienziati o auto-proclamatisi tali di prima, conosciamo persino i tic, le movenze facciali, o l’intercalare lessicale.
Gli ospiti politici, troppo spesso sempre i medesimi quasi che siano diventati anche loro parte del programma, o rivestono appunto il ruolo di opinion leader d’antan o quando sono personaggi attualmente impegnati a livello parlamentare o governativo parlano da soli, senza contraddittorio o confronto con omologhi di altri partiti, spesso non riuscendo neppure a esprimere concetti compiuti, incalzati dalle domande dei soliti giornalisti, sempre gli stessi, che tendono più a solleticare la vis polemica dei loro presunti affezionati followers che a approfondire un tema senza indugiare negli slogan o nei luoghi comuni.
L’apoteosi poi in questi giorni si è raggiunta da quando si definisce “conferenza stampa” quanto segue alla comunicazione – sempre meno chiara e intelligibile – del PdC Conte di un nuovo DPCM (termine pure questo fin qui sconosciuto ai più, persino a chi ha frequentato studi giuridici) allorché con la regia del suo arcinoto portavoce si “concede” a 3 o al massimo 4 giornalisti presenti di fare qualche domanda.

Troviamo che questa situazione, che sarà ben chiara riteniamo a chi conserva spirito critico indipendente, risulti non solo intollerabile per un Paese Europeo di primo piano, ma a dir poco allarmante.
Non vogliamo lanciare accuse generalizzare nei confronti del mondo dell’informazione, strumento prezioso e insostituibile in un consesso democratico e neppure contribuire alla ricorrente crocifissione sui social di questo o quel Direttore di testata o conduttore o conduttrice di talk show.
Vorremmo sollevare però un grido di allarme che ci auguriamo possa risultare esagerato o fuor di luogo e non avremo difficoltà a riconoscere l’errore in cui saremmo incorsi se qualcuno vorrà obiettare in tal senso.
Il grido d’allarme attiene alla sicurezza dei nostri strumenti democratici.
In una democrazia non sembra plausibile che il mondo della informazione sia rappresentato solo da pochissimi e sempre uguali protagonisti e sempre pronti a emettere opinioni quando non sentenze all’indirizzo del politico di turno, senza contraddittorio o con un contraddittore di cui potremmo anticipare le obiezioni prima di sentirle.
