Cosa c’è per Putin dietro il dilemma Kursk, come l’ha definito il Presidente americano Joe Biden? A Washington, Londra e in Europa sono convinti che non lo sappia neanche Vladimir Putin.

L’unico timore, anzi terrore, che fa venire i brividi all’occidente, é che mediti di utilizzare una bomba atomica tattica per ricattare il mondo. Se pure l’ha pensato, evidentemente sono riusciti a dissuaderlo o gli hanno fatto il disegnino del perché non era assolutamente salutare e conveniente farlo.
Da 10 giorni il Cremlino è affollato da incubi e fantasmi. In scala ridotta, ma con un effetto dirompente maggiore, il Presidente russo sta rivivendo le convulse ore della marcia su Mosca nel giugno scorso della brigata mercenaria Wagner, guidata da Evgenij Prigožhin.

Stessa impotenza reattiva, ma con l’aggravante che questa volta non si tratta di una rivolta di reparti irregolari dell’armata russa, ma di truppe di un paese nemico mentre la capitale distante appena 500 chilometri da Kursk appare sostanzialmente indifesa.
Le accuse alla Nato di avere programmato e di sostenere l’invasione ucraina non fanno altro che evidenziare il divario di armamenti e d’intelligence esistenti fra l’Alleanza Atlantica e l’apparato militare russo.
In attesa di una effettiva controffensiva non propagandistica, Mosca ha diramato annunci per reclutare migliaia di manovali per scavare nel più breve tempo possibile trincee successive per rallentare l’avanzata delle forze di Kiev.
L’identica tattica usata contro Prigožhin, con le autostrade lungo le quali i mercenari avanzavano indisturbati e che vennero trasformate in trincee.
L’incubo principale del Presidente russo é il confronto storico con il suo predecessore Stalin. Per arginare l’avanzata tedesca giunta alle porte di Mosca il dittatore sovietico sacrificò milioni di soldati, mandati allo sbaraglio contro i panzer. A decidere le sorti della battaglia e della guerra furono però i colossali aiuti militari inviati via mare da Stati Uniti e Gran Bretagna. Senza i carri armati, il carburante, le bombe e il sostegno dell’intelligence inglese, Stalin non avrebbe potuto resistere, contrattaccare e dopo 4 anni conquistare Berlino.

A distanza di 82 anni le parti si sono invertite. I russi che da due anni e mezzo tentano di invadere l’Ucraina sono stati sorpresi con una manovra che rischia di accerchiarli e che é condotta da reparti regolari dell’esercito ucraino che dispongono dei più moderni armamenti occidentali.
A combattere per la libertà del loro paese sono questa volta gli invasori e Putin oltre che per lo stalinismo ha fatto assumere storicamente alla Russia il ruolo della Germania nazista.
I riferimenti storici comprendono anche un’altra fondamentale circostanza che ricorre nuovamente. In quest’ultimo scorcio della Presidenza, Biden ha deciso di andare a vedere quello che ritiene essere il bluff del Cremlino, accelerando al massimo il poderoso riarmo dell’Ucraina e varando la cosiddetta strategia Putin first rispetto al pur consistente rischio di una escalation del conflitto in medio oriente. 
E’ la fotocopia della strategia decisa nel 1942 dagli Stati Uniti nonostante l’attacco a tradimento del Giappone a Pearl Harbor. Allora sancì la preminenza del pericolo della devastante dittatura nazista sul punto di invadere oltre a tutta Europa anche la Russia e di ricongiungersi col Giappone e prevalse rispetto alla pur urgente guerra nel Pacifico.
Dall’Hitler first, come venne definita quella strategia, l’America e l’occidente sono passati al Putin first perché ci si é resi conto che l’incombente pervasività del regime neo stalinista del Presidente russo, ha imboccato la rotta del progressivo conflitto mondiale ed ha innescato varie aree belliche a cominciare da quella del Medi Oriente, con le appendici dell’Iran degli Houthi e degli Hezbollah, all’Africa, fino alla Corea del Nord.
Oltre che strategica comunque, l’offensiva ucraina nel cuore del gigante con i piedi d’argilla della Russia ha l’obiettivo tattico di aprire e allargare la frattura fra gli apparati militari ed i gangli del potere del Cremlino.
