Non solo caldo, alluvioni e disastri climatici, ma soprattutto guerre. L’anno bisestile 2024 sta per concludersi con un ultimo record negativo, probabilmente il più pesante e rischioso per l’umanità. Secondo il Conflict Intensity Index, quasi il 5% del pianeta é sconvolto da conflitti e guerre che si sono diffuse e intensificate, con impatti di vasta portata sulla crescita economica globale e sulla sicurezza alimentare.
Negli ultimi tre anni, denuncia il rapporto, la percentuale del mondo coinvolta in conflitti é cresciuta del 65%, ovvero quasi il doppio della superficie dell’India. 
Dai dati del Conflict Intensity Index emerge come dal 2021 l’Ucraina, il Myanmar, il Medio Oriente e un “corridoio di conflitto” attorno alla regione africana del Sahel hanno visto guerre e disordini intensificarsi e moltiplicarsi.
Redatto dal Verisk Maplecroft, società di consulenza strategica con sede a Bath, in Inghilterra, che analizza i rischi che in tutto il mondo influenzano il business globale e condizionano gli investitori, il rapporto evidenzia come i recenti conflitti hanno avuto un impatto di vasta portata sulle aziende, sulla crescita economica e sulla sicurezza alimentare, con le catene di approvvigionamento fortemente penalizzate dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un’invasione che ha messo a repentaglio le esportazioni di grano verso il Medio Oriente e l’Africa, ma che fra gli effetti collaterali strettamente collegati ha provocato insicurezza e rischi anche per i collegamenti commerciali marittimi, minacciati dagli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen nel Mar Rosso. 
“I rischi di conflitto sono in aumento, da qualche anno a questa parte, e le aziende globali devono pensarci “ ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian Hugo Brennan, direttore della ricerca presso Verisk Maplecroft.
“Si può guardare – affema Brennan – alle notizie internazionali e pensare: <<Non ho una fabbrica in Sudan, non mi riguarda>>, ma a causa degli impatti sulle catene di forniture e rifornimenti, un conflitto in un posto lontano può avere un impatto su di te”.
Un’altra caratteristica negativa della conflittualità internazionale denunciata dal rapporto inglese, afferma al Guardian il professor Clionadh Raleigh, presidente dell’ente di monitoraggio dei danni ai civili Acled (Armed Conflict Location and Event Data) é che “ci sono molti meno conflitti che finiscono o diventano meno intensi e ce ne sono molti di più che divampano”.
L’esempio più recente é quello del Myanmar dove si registrano numerose ribellioni armate che coinvolgono gruppi più piccoli che rendono difficile raggiungere accordi di pace onnicomprensivi.
Una proliferazione bellica che riguarda anche quello che è stato definito il “corridoio conflittuale” che copre il Sahel e il Corno d’ Africa , dal Mali alla Somalia, dove le violenze negli ultimi tre anni si sono moltiplicate. In Burkina Faso l’86% del paese é tuttora sconvolto da un conflitto, mentre in Sudan ed Etiopia sussistono focolai di violenza su larga scala.
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