Attacco preventivo di una guerra senza venti e di un conflitto a tutto campo. Che ci faceva in Iraq il generale iraniano Qassem Suleimani, la mente del terrorismo made in Teheran ? Cosa stava organizzando, dopo l’attacco all’Ambasciata Usa a Bagdad ?
Parte da questi due interrogativi la spiegazione del blitz degli Stati Uniti, a colpi di satelliti intelligence e missili, che non ha lasciato scampo al numero uno delle milizie Quds, le forze speciali delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana responsabili delle operazioni internazionali. Una delle centrali del terrorismo mondiale.
L’esecuzione mirata di Suleimani rischia di avere ripercussioni incontrollabili nei rapporti, già al limite della rottura fra Washington e Teheran, in Medio Oriente ed anche negli Stati Uniti.
Non è infatti chiaro se Trump abbia o meno avvertito il Congresso e gli alleati occidentali dell’attacco. Se non lo avesse fatto, il rischio per il Presidente è quello di aprire un nuovo fronte di scontro oltre a quello dell’impeachment e innervosire anche alcuni esponenti repubblicani, che potrebbero fargli mancare il loro appoggio in Senato per il processo per la messa in stato di accusa.
L’inizio del 2020 con scenari di guerra diffusi riguarda anche Libia, Mediterraneo e Medio Oriente.
“Il raid che a Baghdad ha ucciso il generale Soleimani, rappresenta il culmine dell’escalation tra Stati Uniti ed Iran. Le prossime ore saranno determinanti per capire gli sviluppi della situazione” – spiega l’editorialista Mauro Indelicato esperto di strategie politiche e militari.
-
Cause ed effetti?
Le manifestazioni esplose in questi mesi in Iraq, hanno poi provocato un’ulteriore destabilizzazione degli equilibri regionali, in quanto si è assistito al divampare di episodi violenti in un campo, quale quello iracheno, dove sono presenti sia forze americane che forze filo iraniane. Queste ultime sono concentrate, a partire dagli anni della guerra contro l’Isis, nelle milizie filo sciite delle Pmu, le Unità di mobilitazione popolare irachene. In uno scenario del genere, anche una piccola scintilla poteva essere in grado di il riacutizzarsi del braccio di ferro tra Usa ed Iran. Ed è quello che è accaduto nelle ultime settimane: prima gli assalti al consolato iraniano di Najaf, poi i razzi contro obiettivi americani, a cui hanno fatto seguito i raid Usa su basi delle Pmu, le quali a loro volta hanno innescato la violenta protesta contro l’ambasciata americana di Baghdad. Un costante scivolamento dunque verso un’escalation, arrivata poi questa notte con il raid ordinato da Trump contro Soleimani.
-
Possibili retroscena elettorali della decisione di Trump di eliminare così platealmente il generale del terrorismo iraniano?
Il motivo per il quale è stato scelto proprio questo momento da parte del Presidente Usa, per autorizzare un’azione così delicata, potrebbe derivare dalla scelta di Trump di lanciare un preciso segnale a Teheran e a suoi alleati in campo internazionale. In un momento in cui peraltro gli Usa hanno sì diminuito la loro attenzione in Siria e Libia, ma hanno inviato più truppe in Iraq. Chiaro poi che, dopo questo raid, il Presidente americano ha ancora di più espresso la vicinanza della sua linea a quella del premier israeliano, Netanyahu, impegnato a marzo in una delicata fase elettorale. Così come anche a quella dell’alleato saudita.
-
Come reagirà l’Iran?
Teheran per la morte di Suleimani ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Questo fa ben intuire l’importanza data a questo episodio da parte del governo iraniano, così come fa ben capire cosa voglia dire per l’intera classe dirigente del paese l’uccisione del generale. La scomparsa di una figura del genere, seconda sola a quella dell’ayatollah Khamenei in fatto di popolarità, non può non scatenare, da parte di Teheran, la volontà di dimostrare di non essere stati affondati. Dunque, occorre attendersi importanti reazioni al raid di questa notte. Al momento sembra comunque difficile un attacco diretto iraniano nei confronti di obiettivi Usa in Iraq, vorrebbe significare esporsi ad una dura controreazione di Washington. Si potrebbe pensare invece ad azioni attuate da forze filo iraniane lì dove ci sono interessi americani nell’area mediorientale. Mi riferisco dunque alla possibile reazione delle milizie Pmu in Iraq, ma anche degli Houti nello Yemen (i quali potrebbero tornare a colpire obiettivi sauditi), così come degli Hezbollah in Libano. Non è un caso che Netanyahu è immediatamente rientrato in Israele dal suo viaggio in Grecia, che Tel Aviv abbia già aumentato la propria soglia di attenzione nel nord del paese.
-
L’attenzione internazionale concetrata su Iraq e Iran complicherà la situazione di conflitto in espansione in Libia?