Elezioni a perdere in progress. Da Matteo Salvini a Carlo Calenda, da Giuseppe Conte a Silvio Berlusconi, la campagna elettorale è caratterizzata da un festival di autogol e colpi di scena che fanno apparire Tafazzi un dilettante dell’autoflagellazione.
Difficile scegliere il primatista dell’autogol più clamoroso fra i leader della Lega, di Azione, dei 5 Stelle e di Forza Italia.
Dopo il golpe politico antiDraghi e il repentino taglio seguito da precipitosa ricrescita della barba, Salvini ha toccato i vertici del precipizio dei consensi con le immagini in costume e le mani sui fianchi a Lampedusa e con i deliri sui Ministri da indicare prima delle elezioni. Autentici harakiri politici.
Paradossalmente però, in soccorso della Lega e del centrodestra in forte sofferenza per i continui fuori giri controproducenti di Salvini é intervenuto Calenda che, piccato per il mosaico dell’alleanza fra il Pd, la sinistra, i Verdi e Di Maio, ha rotto il patto elettorale appena siglato con la segreteria del partito Democratico ed ha annunciato che Azione correrà da sola. Facendo naufragare il fronte progressista e provocandone la probabile matematica sconfitta.
Altri autogol non meno clamorosi sono quelli dell’inconcludenza ormai cronica di Conte, sempre più pateticamente impantanato nel disfacimento dei 5 Stelle e le indefinibili figure delle apparizioni televisive di Silvio Berlusconi, un tempo king maker dell’etere politico.
Facile immaginare che, visto il contesto da neurodeliri, Enrico Letta e Giorgia Meloni non vedano l’ora di presentare le liste dei propri candidati e di andare a votare. Prima che una tafazzata di troppo comprometta quel che resta delle già molto complicate prospettive politiche per il dopo 25 settembre.