Sono molte e ognuna più inquietante dell’altra le stragi invisibili che per la disperazione, il disagio, il caldo e la mancata sicurezza sul lavoro si consumano nel silenzio opprimente o, peggio, cinico dei media e delle amministrazioni pubbliche.
Sono le stragi senza fine sul lavoro (505 vittime dall’inizio dell’anno) quelle dei suicidi nelle carceri (42 complessivamente) e quelle se possibile ancora più sconvolgenti dei circa 40 suicidi di militari e agenti delle forze dell’ordine, vittime di questa sorta di bollettino di invisibile guerra sotterranea che periodicamente si manifesta con uno stillicidio di colpi di pistola alla testa.
“Il denominatore comune è il disagio psicologico: tutto parte da lì, dall’inadeguatezza del rapporto con sé stessi che si riflette nello stile con cui si costruiscono i legami sociali di collaborazione lavorativa” afferma la Criminologa Antonella Cortese da anni in prima linea nella tutela dei militari e delle forze dell’ordine.
A cosa è dovuta questa spirale?
Il disagio psicologico è anche il risultato di dinamiche disadattive e pericolose come il nonnismo e le tensioni sul posto di lavoro. Certamente tutti gli attori coinvolti in tali dinamiche sono accomunati dalla stessa caratteristica, ovvero quella del disagio psicologico; in quest’ottica, esso diviene fattore scatenante e conseguente dell’aggressività e dell’abuso di potere. A prescindere da questo, la salute mentale dei militari e degli agenti delle forze dell’ordine è messa quotidianamente sotto sforzo da richieste di lavoro emotivo che a lungo andare possono risultare dispendiose per il loro equilibrio.
Perché si parla poco dei suicidi dei militari e degli agenti delle forze dell’ordine invece di affrontare le problematiche, parlarne, far emergere il malessere e scongiurare altri casi ?
La tendenza a considerare la salute mentale come un fattore non fondamentale della vita di ogni persona è un fenomeno culturale molto diffuso all’interno della società. Purtroppo è ancora insita l’associazione tra malessere psicologico e debolezza. Come se le tante conseguenze di un malessere psicologico, a prescindere dal loro livello di gravità, siano un tabù da evitare. Credo che questa sia la più grande debolezza: non riconoscere i propri limiti e non rispettarsi, non concedersi l’opportunità di stare veramente bene. Questo stereotipo è ancora più radicato all’interno delle forze armate e delle forze dell’ordine, proprio a causa del ruolo assegnato loro nell’immaginario collettivo. Alle divise dei lavoratori coinvolti in questo campo, viene associato un ruolo di grande valore e rispetto, inviolabile e inscalfibile da qualsiasi insidia, persino da quella del disagio psicologico, ritenuto l’insidia più inaccettabile tra tutte. Da questo punto di vista, c’è ancora molto su cui lavorare, affinché al malessere psicologico venga attribuita la stessa importanza del malessere fisico e la figura stessa dello psicologo venga rivalutata positivamente, come opportunità di crescita e rinforzo.
Proposte?
Essenzialmente due: la creazione di una commissione d’inchiesta parlamentare sui suicidi in divisa, per valutare caso per caso eventuali responsabilità, e l’immissione in ruolo di tanti psicologi del lavoro nell’ambito delle forze armate e forze dell’ordine.