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I social network e i disturbi della percezione corporea

by Maggie S. Lorelli
Niente nella rete è come appare. In particolare i social network.  I pericoli dell’essere always on passano anche attraverso la percezione falsata di sé e del proprio corpo, che spesso conduce, soprattutto negli adolescenti, al disturbo da dismorfismo corporeo, con connesse problematiche alimentari, a causa dei disagi e delle sofferenze generati dal tentativo di conformarsi a modelli di perfezione estetica e di idealizzazione del reale proposti dai social network.
Nei ragazzi più fragili, la mancata adesione alle fake images, in correlazione con altre cause, può generare una frustrazione tale da far aumentare in modo esponenziale i problemi di depressione e i disturbi d’ansia nonché, in casi estremi, le azioni autolesionistiche e i pensieri suicidari. Ne parliamo con Emanuel Mian, psicologo e psicoterapeuta, specialista in psicoterapia cognitivo-comportamentale.
I social network e i disturbi della percezione corporea
Emanuel Mian
Principali cause delle crisi adolescenziali che preludono agli atti di autolesionismo e ai pensieri suicidari?
“Non c’è mai un unico fattore che determini l’ideazione suicidaria, che fortunatamente è cosa ben diversa dal tentativo di suicidio e dall’atto estremo in sé. Ad ogni modo, il suicidio, per chi lo concepisce, viene visto come l’unica soluzione possibile e rappresenta una scelta definitiva a un problema temporaneo. Il dolore viene sperimentato da tutti gli esseri umani; ciò che cambia sono le modalità di interpretarlo e di agire per contrastarlo. Per i pensieri suicidari, se non si può individuare un’unica causa, ci sono però dei fattori predisponenti che possono essere analizzati”.
Per gli operatori sanitari è semplice individuarli e prevenire il peggio?
“Non sempre. Spesso manca la volontà di condivisione della sofferenza nelle persone che poi portano a compimento le loro intenzioni autolesionistiche o suicidarie. A volte anche per le persone vicine è difficile cogliere la sofferenza che può portare i propri cari a un gesto estremo. Tuttavia è possibile cogliere dei campanelli d’allarme che rappresentano vere e proprie richieste d’aiuto che possono lenirsi con un ascolto o con un aiuto concreto. Non sempre tuttavia, e per fortuna, questi disagi e sofferenze conducono ad azioni autolesive o pensieri suicidari”.
In che misura i modelli di vita proposti dai social network influenzano gli umori e i malesseri adolescenziali?
“Gli influencer mostrano il meglio di sé. Tranne rari casi in cui fingono di mostrare la loro vita reale no filter, propongono un mondo artefatto. Ecco che quindi è importante spingere i giovani a sviluppare uno spirito critico rispetto a ciò che viene loro proposto. Ad ogni modo, ciò che innesca i pensieri autolesivi non è la visione di queste immagini idealizzate in sé, ma il fatto che possono innescare il pensiero che se non si è così, si è dei falliti, che si hanno solo difetti, che si è sbagliati. Questo meccanismo di pensiero può portare a una spersonalizzazione, perché ciò che vediamo è una rappresentazione della persona e della vita stessa, che fa serpeggiare un’insoddisfazione negativa che a sua volta può generare il germe del fallimento, che può portare come conseguenza al dismorfismo corporeo o a dei disturbi alimentari e, come soluzione estrema, al desiderio di non esserci più”.
I social network e i disturbi della percezione corporea
Consigli per evitare le cattive influenze?
“Dovremmo diventare critici come quando leggiamo i giornali di gossip. Quando si

osserva l’influencer di turno ci si dovrebbe chiedere: cosa sa fare? Cosa mi sta

trasmettendo? Come mi fa stare? Un consiglio è: se un influencer vi fa star male, se
vedere quelle immagini vi fa pensar male di voi, togliete immediatamente il follow!
Privilegiate dei feed che vi facciano stare bene, che vi facciano divertire, che vi
facciano sorridere. Meglio i gattini piuttosto che false immagini di persone vincenti
che, vi assicuro, hanno anche loro dei problemi da risolvere che non dichiarano
pubblicamente. La perfezione che si ostenta è il più delle volte una farsa”.
Dismorfismo corporeo. Cosa significa questo parolone?
“Il dismorfismo corporeo, o body dysmorphic disorder (BDD), è un’estrema
preoccupazione per un difetto, reale o supposto, nel proprio apparire. Faccio un
esempio: è come se avessi un neo in faccia e pensassi che tu lo stia guardando, e il
tuo giudizio ipotetico infici tutta la mia immagine. Ciò mi porta a pensare che io
possa essere brutto, sgradevole da guardare. Si va quindi a formarsi un’immagine di
sé che è imperfetta, sbagliata, come se ci si percepisse come una sorta di elephant
man, un mostro. Questo porta le persone che soffrono di questo disturbo a
nascondersi, truccarsi o camuffarsi in vario modo, oppure ricorrere alla chirurgia
plastica. Ricordiamo anche che molti atti suicidari sono legati a trattamenti di
chirurgia estetica che non hanno prodotto i risultati sperati”.
È una sorta di fissazione?
“Esatto. Nella ricerca della perfezione, quando ci si rende conto che quest’ultima è
irraggiungibile, nel dismorfismo accade che i pensieri, dalle 8 alle 12 ore al giorno,
siano imperniati sul difetto corporeo. Tutto ciò che si fa, tutto ciò che si evita di fare,
tutte le relazioni sociali, l’isolamento che ci si crea, il modo in cui ci si veste e si
maschera il difetto, reale o amplificato, mina qualsiasi pensiero che si possa avere su
se stessi, impattando sul valore che si da alla propria persona. La propria stessa
felicità dipende dalla correzione di quel difetto…”.I social network e i disturbi della percezione corporea
Attualmente anche i disturbi alimentari sono legati alla mancata adesione ai
modelli di perfezione social?
“L’immagine che i miei pazienti mi mostrano più spesso è il loro corpo ideale. Devo
dire però che spesso mi mostrano corpi di donne magre ma anche muscolose. Si
stanno imponendo per fortuna modelli di body positivity o body neutrality, che mostrano che il corpo può essere forte, resistente, flessibile, e non solo banalmente magro o grasso. Questa è una limitazione inumana, per quella macchina meravigliosa che è il nostro corpo. Nell’ultimo periodo, dal 2017 in poi, gli ideali di bellezza sono cambiati. Il Covid ha però peggiorato il fattore ansia. I disturbi alimentari rispondono ora a un bisogno di rassicurazioni dalla grande incertezza che hanno comportato gli ultimi due anni. La percezione del proprio corpo non mira tanto alla bellezza o alla perfezione, quanto all’assenza di giudizio e di critica che comporta l’estromissione da un gruppo sociale”.
È sbagliato avere dei modelli di riferimento estetici?
“Va bene ammirare qualcuno sui social, per esempio una sportiva, una cantante o una ballerina, a patto che quel corpo comunichi qualcosa, veicoli un messaggio. Può essere anche una modella, che quando sfila mostra un abito. Il dismorfismo è stato amplificato con l’avvento dei social soltanto in persone che già facevano un uso sbagliato della rete”.
Si dovrebbe cominciare a parlare anche nelle scuole di un uso consapevole della rete?
“Certamente, ma attenzione a come si fa prevenzione. Non bisogna spettacolarizzare i disturbi alimentari, e non parliamo sempre e solo dell’anoressia perché spesso suscita un pietismo maggiore. Ricordiamoci che ci sono altri disturbi come la bulimia, come il Binge Eating Disorder, l’obesità… Ma soprattutto non bisogna farne un’apologia, perché questi disturbi potrebbero essere usati come alibi per far parlare di sé e ricevere nel modo sbagliato delle attenzioni suscitando, come spesso accade, lo spirito emulativo in personalità che stanno crescendo e sono ancora influenzabili. Bisogna fare rete, ma non tanto parlando dei disturbi alimentari, di cui ormai fin troppo si parla, ma favorendo uno spirito critico rispetto ai social, cercando di far aumentare l’autostima nei giovani senza farli sentire in colpa. E poi bisogna coinvolgere le famiglie. Spesso il problema principale è far capire alle famiglie che questi disturbi non sono un capriccio, o che non ci si deve vergognare di avere un figlio che ne soffre”I social network e i disturbi della percezione corporea
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Maggie S. Lorelli
Maggie S. Lorelli
Maggie S. Lorelli, dopo la laurea in Lettere all'Università degli Studi di Torino, si laurea in Pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Torino e in Didattica della Musica al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma. Dopo un' esperienza decennale alla Feltrinelli ha collaborato come autrice con Radio 3 Rai e Radio Vaticana e condotto programmi musicali. Ha svolto un tirocinio come giornalista presso l'agenzia di stampa Adnkronos,  scrive per varie riviste musicali specializzate, ha al suo attivo numerosi racconti e “Automi”, il suo romanzo d'esordio. Attualmente è docente di Pianoforte al Liceo musicale.
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