Nel cimitero virtuale ai margini della storia d’Italia, accanto alle date della nascita – 21 gennaio 1921 – e della morte – 3 febbraio 1991-, sulla lapide del Pci i nomi dei segretari sono ancora in grande evidenza: Bordiga, Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto.
Nomi di protagonisti di 70 anni cruciali per il paese: le prime lotte operaie, la dittatura fascista, la tragedia infinita di una guerra sulla pelle degli italiani contro le democrazie e le libertà dei popoli, la resistenza contro il nazifascismo, le macerie del dopoguerra, il contributo determinante alla nascita della Repubblica e alla elaborazione condivisa della Costituzione, la guerra fredda e il ruolo di baricentro democratico contro terrorismo, tangentopoli e mafie.
Eppure, a differenza delle liturgie dei congressi e della mistica ideologica che aleggiava nella sede centrale di via delle Botteghe Oscure, a Roma, il centenario della nascita del Pci viene celebrato altrove, in una dimensione storiografica e mediatica, venata di critiche e rimpianti.
Sull’eclissi del più popolare, rilevante e temuto, partito comunista del mondo fuori da quella che era l’Unione Sovietica culla e faro del marxismo, ha inciso in maniera determinante l’implosione ideologica e democratica, prima ancora che economica e sociale dell’intero sistema comunista globale. Tranne che in Cina, dove la mutazione genetica del maoismo è culminata con la nascita di un regime iper-autoritario che mimetizza la dittatura dietro la maschera del comunismo.
Ad azzerare l’incidenza del Pci è stata la tumultuosa evoluzione economica e produttiva dell’Italia, l’inarrestabile espansione del web e la globalizzazione dei mercati che hanno radicalmente mutato i rapporti e l’organizzazione del lavoro e trasformato la mitica classe operaia in prestatori d’opera, dipendenti, quadri e free lance. Introducendo un’infinità di tipologie lavorative e sindacali e un nuovo minimo comun denominatore sociale: la classe media.
Un’evoluzione tuttora in progress che ha stravolto i parametri di un partito ideologicamente arroccato, come era il Pci fino al crollo del muro di Berlino e al tentativo di Gorbaciov di modernizzare il regime comunista sovietico e di far dimenticare gli orrori dello stalinismo. Tentativo culminato con l’implosione dell’Urss.
Sull’onda dell’effetto domino del crollo dei regimi dell’Europa orientale l’ultimo segretario del Pci, Achille Occhetto ha così avviato la travagliata transizione, ancora in atto, della trasmigrazione del patrimonio di valori costituzionali, democratici, ambientali, sindacali e parlamentari del Dna dei comunisti italiani in un nuovo soggetto politico, che negli anni ha assunto le sembianze del Pd, nato dalla saldatura con un altro partito storico italiano, la Dc.
Due partiti cofondatori della Repubblica che dopo una lunga, e per molti versi sanguinosa, guerra ideologica, sulla scia della profezie di Gramsci, Gobetti, Togliatti e Moro, sono confluiti in un’unica formazione politica per fronteggiare la sfida della degenerazione dei mercati e l’attacco del populismo. Una realtà drammatica che la pandemia ha quasi riportato alla tragica situazione delle macerie del dopoguerra e per affrontare la quale è più che mai attuale l’esempio e l’esperienza comunista, vaccinata dai valori della democrazia liberale.