Storia di un delitto segreto. Un enigma irrisolto da 30 anni e che assieme alla vita di Nino Agostino, poliziotto e agente segreto, e della moglie Ida Castelluccio ha tranciato anche la vita del bimbo mai nato che la coppia attendeva.

A tre decenni di distanza la principale certezza sul contesto dell’omicidio riguarda le parole che Giovanni Falcone esclamò al funerale di Agostino: «Io a quel ragazzo gli devo la vita».

Erano trascorsi 44 giorni dal fallito attentato sul litorale palermitano di Mondello nella zona dell’Addaura e Falcone si riferiva all’intervento via mare fra la borgata dell’Acqusanta e la scogliera l’Addaura di Nino Agostino e molto probabilmente di un altro agente sotto copertura del Sisde, l’allora servizio segreto civile, Emanuele Piazza, ucciso e fatto sparire nel nulla nel marzo del 1990.

Intervento che costrinse a desistere il commando di sicari che aveva piazzato un borsone di esplosivo sugli scogli davanti alla villa di Falcone.
«A quel ragazzo gli devo la vita» detto dal giudice antimafia è l’unico brandello di verità al quale ancora oggi sono ancorate le inchieste che si sono sviluppate una dopo l’altra. Il resto è un buco nero che coinvolge tanto cosa nostra quanto gli apparati statali.
Perché fu ucciso Antonino Agostino? Perché è tanto difficile giungere a riscontri concreti e risalire ai killer?
Dalle indagini, tra fascicoli aperti, poi archiviati, ed ulteriormente riaperti, è emerso che Agostino era impegnato nella ricerca dei latitanti e che il giorno del fallito attentato contro Falcone era in servizio proprio nella zona dell’Addaura e che nei giorni successivi stava conducendo indagini per identificare chi aveva trasportato il borsone di esplosivo sugli scogli.
A rendere ancora più inquietanti le inchieste sull’assassinio di Nino Agostino vi sono poi le dichiarazioni del pentito di mafia Giovanbattista Ferrante, secondo il quale Totò Riina, il capo dei capi della mafia, ordinò un’indagine interna a Cosa Nostra per individuare i responsabili dell’omicidio del poliziotto, ma «anche lui non riuscì a sapere nulla». Ferrante è considerato uno dei collaboratori di giustizia più credibili e tutte le sue rivelazioni hanno finora trovato conferma.
A rendere se possibile ulteriormente più inquietanti le affermazioni del pentito vi è il giallo nel giallo degli appunti investigativi che Nino Agostino teneva a casa. Appunti che sarebbero svaniti nel nulla dopo che, su disposizione dell’allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, l’appartamento della vittima venne perquisito subito dopo l’agguato.
Nulla. La parola chiave sull’uccisione di Nino Agostino è nulla. Come rischia di essere svanita nel nulla anche la verità inconfessabile su questo delitto segreto.