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Le quattro opzioni di Israele per l’attacco all’Iran

Irresponsabilmente facili da provocare, le guerre si avvitano poi in maniera talmente tragica e incontrollabile che é oltremodo difficile concluderle. E’ questo il senso dell’analisi del settimanale britannico The Economist sull’imminente attacco israeliano all’Iran

Le quattro opzioni di Israele per l’attacco all'Iran

Le quattro opzioni di Israele per l’attacco all'Iran
Benyamin Netanyahu e i generali israeliani

In Israele politici e generali sono entusiasti che il momento sia arrivato.

Almeno due volte in passato, nel 2010 e nel 2011, i generali israeliani hanno ricevuto l’ordine dal primo ministro,  Benyamin Netanyahu, di prepararsi per imminenti attacchi all’Iran.

In entrambi i casi i responsabili della sicurezza hanno messo in dubbio la legalità dell’ordine, impartito senza la necessaria autorizzazione del gabinetto. In nessuno dei due casi Israele è andato in guerra con la Repubblica islamica.

Oggi Israele é di nuovo sul punto di dare una batosta all’Iran. Ma questa volta Netanyahu non avrà problemi a ottenere l’approvazione da un governo che, se non altro, é ancora più convinto di lui. Né i leader delle forze armate israeliane sono contrari a tale azione come in passato. E questa volta Israele crede che le probabilità siano a suo favore.

I leader israeliani ritengono che i 181 missili balistici lanciati dall’Iran contro Israele il 1° ottobre non abbiano altra alternativa se non quella di reagire. La forma che assumerà la rappresaglia potrebbe avere implicazioni di vasta portata per il Medio Oriente e oltre.

Sono stati presi in considerazione quattro tipi di obiettivi. Netanyahu si è da tempo detto favorevole al bombardamento dei siti in cui l’Iran arricchisce l’uranio e svolge ricerche per il suo programma nucleare. Ma questi sono dispersi in tutto il paese in luoghi pesantemente fortificati nel sottosuolo.

Per causare danni significativi sarebbero necessari un gran numero di missili anti-bunker lanciati da decine di aerei che operano ad almeno 750 miglia di distanza da Israele. L’aeronautica militare israeliana é la più potente della regione, ma potrebbe essere in ogni caso  difficile ritardare il programma nucleare iraniano di più di qualche mese.

Un obiettivo strategico più vulnerabile sarebbero i principali porti dell’Iran, in particolare i terminal petroliferi che forniscono la maggior parte delle entrate in valuta estera dell’Iran.

Gli strateghi israeliani credono che distruggerli darebbe un duro colpo all’economia iraniana già traballante. Questo, sperano, potrebbe provocare ulteriori disordini all’interno dell’Iran. Alcuni sognano che potrebbe persino portare alla caduta del regime.

Una terza scelta sarebbe quella di colpire direttamente i leader del paese, proprio come Israele ha attaccato i leader degli alleati dell’Iran, Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza. Ciò sarebbe complicato, poiché le figure più importanti dell’Iran si ritirerebbero quasi certamente in luoghi segreti e protetti appena un attacco israeliano dovesse sembrare imminente. E l’impatto di tali attacchi é sempre incerto. La questione di chi sostituirà l’anziano leader supremo dell’Iran, Ali Khamenei, é già oggetto di dibattito.

La risposta militare più ovvia di Israele sarebbe un attacco tit-for-tat alle basi missilistiche iraniane. Questa opzione sarebbe probabilmente la più utile per impedire un’altra raffica di missili dall’Iran.

Ma Netanyahu ritiene che Israele abbia una possibilità storica di rimodellare la regione. E questa volta alcuni dei suoi generali, anche se non tutti, sono d’accordo.

Pensano che il fatto che se Israele ha resistito a due grandi salve di missili iraniani (la prima ad aprile) con poche vittime o danni gravi, può resistere a qualsiasi cosa l’Iran gli lanci contro.

Coloro che sono a favore di colpire il programma nucleare e l’infrastruttura economica dell’Iran credono anche che Israele abbia un raro slancio alle spalle, avendo decapitato nel giro di poche settimane i principali leader di Hezbollah, la milizia più potente dell’Iran nella regione, e avendo distrutto anche una grande parte del suo arsenale missilistico. Quei missili sono stati forniti a Hezbollah dall’Iran per fungere da deterrente contro gli attacchi di Israele alla Repubblica islamica. Gran parte di quel deterrente é andato in fumo.

Allora perché, più di una settimana dopo l’attacco missilistico dell’Iran, Israele non ha ancora reagito?

Non tutti nei circoli della sicurezza israeliani hanno fretta di cambiare il Medio Oriente. Diversi generali consigliano cautela.

Per cominciare, credono che Israele non possa permettersi di lanciare una campagna di questa portata senza coordinarsi con il suo principale alleato, gli Stati Uniti.

Le quattro opzioni di Israele per l’attacco all'Iran
Biden e il Premier israeliano

Ma il presidente Joe Biden si é pubblicamente espresso contro un attacco israeliano sia alle strutture nucleari che agli impianti petroliferi dell’Iran, poiché ciò rischia di far salire alle stelle i prezzi globali dell’energia alla vigilia delle elezioni americane.

Nonostante il supporto di quasi 18 miliardi di dollari che l’America ha fornito a Israele nell’ultimo anno, e nonostante gli aerei e le navi da guerra americani abbiano avuto un ruolo importante nell’intercettazione dei missili iraniani, Israele deve ancora condividere i suoi piani con il suo più stretto alleato. Netanyahu ha persino posto il veto a un viaggio proposto da Yoav Gallant, il ministro della difesa, a Washington per discutere le opzioni.

Nel frattempo, in dichiarazioni televisive, il premier israeliano ha promesso agli iraniani che saranno liberi dal loro regime “molto prima di quanto la gente pensi” e ha esortato i libanesi a “liberare il paese da Hezbollah”.

Il 9 ottobre, ha parlato al telefono con Biden per quasi un’ora. Hanno trascorso la maggior parte della chiamata a discutere dei possibili attacchi, ma non hanno raggiunto alcun tipo di accordo.

Ci sono funzionari della difesa israeliani che temono che provocare una guerra totale con l’Iran, mentre lo Stato ebraico sta ancora combattendo Hamas a Gaza e ha lanciato un’invasione di terra contro Hezbollah nel Libano meridionale, esaurirebbe pericolosamente le risorse. Alcuni generali mettono in guardia dallo sperpero dei successi già ottenuti.

Ma dal disastro del 7 ottobre 2023, la credibilità dei capi militari e dell’intelligence israeliani nell’affrontare il primo ministro é diminuita. E sono più propensi, assieme a  Netanyahu a rischiare una devastante conflagrazione per trasformare le  loro responsabilità nel più grande disastro subito da Israele, nel successo storico come vincitori di una guerra. Ma come lui, potrebbero cadere vittime della loro stessa arroganza.Le quattro opzioni di Israele per l’attacco all'Iran

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