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Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta

by Antonio Borgia

Sono passati più di 20 anni e una tragica, ma misteriosa vicenda italiana continua a non trovare un chiaro esito.

Come riportato da giornali e siti internet, Attilio Manca, brillante urologo di 34 anni, con studi in Francia, ritenuto un luminare della chirurgia urologica (fu il primo, in Italia, ad eseguire – per via laparoscopica – un intervento per tumore alla prostata), venne trovato cadavere, il 12 febbraio 2004, nel suo appartamento di Viterbo, per dichiarata overdose di eroina con due iniezioni al polso sinistro e nell’incavo del gomito sinistro.

Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta
Attilio Manca

Le indagini ipotizzarono subito il suicidio, malgrado insoliti particolari: il medico era mancino puro e non usava mai la destra -come dichiarato da tutti i colleghi-, l’assenza di impronte digitali sulla siringa e sul laccio emostatico, i tappi apposti sulle siringhe utilizzate, l’assenza di materiale idoneo a preparare le dosi iniettate, il setto nasale deviato e ricoperto di sangue, la posizione innaturale del corpo sul letto, senza biancheria intima ma con numerose ecchimosi. Nonché accertamenti ed autopsia eseguiti, secondo molti, in modo superficiale.

L’inchiesta é stata, finora, riaperta e chiusa più volte per la richiesta di giustizia e verità da parte dei genitori.

Ed il caso é stato oggetto di approfondimento da parte delle Commissioni Parlamentari antimafia delle ultime due legislature. La relazione di minoranza della penultima, datata 21 febbraio 2018, ha evidenziato i troppi interrogativi irrisolti oltre alle omissioni e negligenze nelle indagini nonché una autopsia definita «lacunosissima».

Il sospetto della famiglia e dei suoi legali é che il medico sia stato ucciso per coprire la latitanza di Bernardo Provenzano, dopo aver partecipato ad un intervento chirurgico nei suoi confronti (ricoverato sotto il falso nome di Gaspare Troia), a fine ottobre 2003, in una clinica francese di Aubagne, in Costa Azzurra, per rimuovere un tumore alla prostata.

L’urologo, all’oscuro della vera identità del paziente, lo avrebbe dapprima visitato in Italia e poi accompagnato in Francia, su richiesta di un cugino siciliano, affiliato alla mafia.

La presenza di Attilio Manca in Costa Azzurra, secondo articoli del sito AntimafiaDuemila, sarebbe stata confermata, nel giugno e nell’ottobre 2003, dai tabulati telefonici oltre che dalle dichiarazioni della madre che aveva saputo dal figlio, in maniera evasiva, della sua presenza in Francia.

Diversi pentiti (il casalese Giuseppe Setola, il bagherese Stefano Lo Verso, il barcellonese Carmelo D’Amico, il calabrese Antonino Lo Giudice e il messinese Giuseppe Campo) hanno rivelato – anche se alcuni hanno poi ritrattato – che l’omicidio di Manca sia stato commesso per tale motivo. Fra l’altro, la polizia, durante alcune indagini, intercettò conversazioni fra persone legate alla mafia circa un urologo italiano assassinato perché aveva riconosciuto il boss latitante.Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta

I pentiti Lo Verso e D’Amico, infine, hanno indicato l’assassino nell’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto «faccia da mostro» per il viso sfigurato da un colpo di fucile, poi deceduto nell’agosto 2017, per infarto, a 71 anni, in Calabria.

Quest’ultimo, già in servizio alla squadra mobile di Palermo fino al 1977, é stato coinvolto in numerose inchieste giudiziarie, ma mai condannato. Inchieste  riguardanti i più gravi delitti siciliani degli anni ‘80 e ’90 perché accusato da diversi collaboratori di giustizia di essere un killer per conto di apparati deviati e organizzazioni criminali.

Chi insiste per riaprire l’inchiesta ritiene che Attilio Manca sia stato testimone della rete di protezione attorno al boss Bernardo Provenzano eretta da una parte “deviata” dello Stato, artefice in seguito di numerosi depistaggi. Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta

A tal fine, basta ricordare l’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (ambito operazione antimafia di Messina denominata “Vivaio”), in cui Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto con il convivente Sebastiano Genovese e una coppia di amici, commenta il caso Manca.

I quattro prima collegano l’accaduto alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Poi,  uno degli uomini in auto, Massimo Biondo, afferma, con certezza, che il boss si era nascosto, per un periodo, proprio nella cittadina e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunge: “Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?)”. A quel punto, Vincenza Bisognano risponde: “Perché l’aveva riconosciuto”.

Ulteriore elemento ad accreditare l’omicidio mafioso di Manca lo ha aggiunto la Corte di Appello di Reggio Calabria che, nella sentenza del 6 ottobre 2021, ha condannato l’avvocato Rosario Pio Cattafi a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso.

Nelle motivazioni della sentenza, la Corte di Appello ha scritto che «per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano, Manca è stato ucciso dai servizi segreti».

Secondo un articolo comparso sul sito AntimafiaDuemila, in data 22 maggio 2022, il professionista di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) (indicato, dal collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, a capo di una loggia massonica comprendente politici e personaggi delle istituzioni e servizi segreti) è stato riconosciuto affiliato a Cosa Nostra e, in base alle dichiarazioni del predetto D’Amico – ritenuto attendibile dai giudici in diversi processi -, avrebbe accompagnato Attilio Manca, su incarico di un generale dei Carabinieri, presso il luogo in cui era rifugiato il latitante Bernardo Provenzano, che aveva bisogno di cure urgenti.Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta

D’Amico ha, anche, raccontato che, nel carcere milanese di Opera, il boss palermitano Antonino Rotolo gli aveva confermato che Provenzano era stato curato in Francia da Manca, poi ucciso dai servizi segreti perché aveva visto in faccia Provenzano, di cui non esisteva alcuna foto negli ultimi 40 anni.

Nella trasmissione televisiva «Storie di sera» del 20/02/2023, su Rai1, inoltre, sono state lette le dichiarazioni di D’Amico, anche per la parte riguardante le confidenze di Rotolo sul fatto che dell’omicidio si era occupato, in particolare, un soggetto di origini calabresi, chiamato «u bruttu», un militare appartenente ai servizi segreti, bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi.

Nella trasmissione, fra l’altro, è stata ascoltata una dichiarazione di un collaboratore di giustizia che raccontava della richiesta di uccidere «un dottore che poteva dare fastidio durante un processo in corso».

Nel libro del 2024 «Le donne delle stragi» del giornalista Sky Massimiliano Giannantoni, si ricorda che il pentito calabrese Antonino Lo Giudice, detto «il Nano», il 29 ottobre 2016 riferì al Pm che Giovanni Aiello gli avrebbe confessato alcuni delitti fra cui quello di Attilio Manca.

Queste le parole del collaboratore: «Mi ha parlato anche di Bernardo Provenzano. Mi parlò di un urologo che si era impegnato a trovare un ospedale dove si poteva operare Provenzano e mi ha detto che, tramite un avvocato…hanno parlato con questo urologo e trovato il posto all’estero, non so dove. Dopo l’operazione, sempre l’avvocato ha dato incarico ad Aiello, su mandato di Bernardo Provenzano, di uccidere l’urologo. Come? Aiello è andato con Antonella a Viterbo, si sono recati nell’ufficio del dottore. Antonella lo ha immobilizzato e poi gli fecero una puntura di droga per sviare le indagini».

Dopo la relazione della Commissione parlamentare antimafia del 2018, presieduta da Rosy Bindi, che accreditò la tesi del suicidio del medico, la Commissione della successiva legislatura (Presidente Nicola Morra) ha raccolto ulteriori elementi ritenuti decisivi per «far ritenere provata la tesi dell’omicidio», anche grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, perché questa è «l’unica ipotesi ragionevole e priva di contraddizioni con i dati obiettivi delle modalità della morte».

Come ricordato in un articolo del sito Antimafia Duemila del 17 settembre 2022, la Commissione, pur nella «certezza che la morte di Attilio Manca sia imputabile ad un omicidio di mafia», evidenzia un aspetto inquietante: «non è chiaro» se «l’associazione mafiosa che ne ha preso parte» ha avuto «il ruolo di mandante o organizzatrice o esecutrice».

La Commissione, comunque, ha confermato l’impressione che le indagini per la morte di Manca siano state svolte con «profonda superficialità» e che gli inquirenti abbiano agito con atteggiamento «precostituito» e «approntato alla conferma della tossicodipendenza – e quindi del suicidio – della vittima, più che alla ricerca, scevra da pregiudizi, della verità» 

Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta
Attilio Manca e i genitori

Altro elemento importante da segnalare riguarda la convinzione della Procura di Viterbo e del GIP di Roma che Attilio Manca fosse morto a causa delle dosi di eroina acquistate da una donna, sua conoscente, invece assolta nel febbraio 2021, nel relativo processo, perché «il fatto non sussiste».

La vicenda Manca ha particolarmente colpito l’opinione pubblica e non sembra, al momento, vicina a una conclusione che possa finalmente diradare i numerosi dubbi.

Fra i molti attestati di stima, da evidenziare quello del pittore Enri U’nik che ha dipinto un ritratto dell’urologo, molto apprezzato dalla madre dello stesso, così definito dall’autore:
«omaggio al dottor Attilio Manca, luminare, ucciso a soli 34 anni da mafiosi senza scrupoli, autorizzati da rappresentanti di stato complici, in un patto scellerato….La dolcezza spezzata in questa esistenza terrestre».Overdose di mafia: l’omicidio dimenticato la verità perduta

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Antonio Borgia
Antonio Borgia
Generale in pensione della Guardia di Finanza, ha prestato servizio in Sicilia dal 1979 al 1996, nel pieno della guerra di mafia e delle stragi di cosa nostra. Ha collaborato con diversi magistrati a Trapani e Palermo quali Dino Petralia, Ottavio Sferlazza, Carlo Palermo ed i Pm della DDA di Palermo allora guidata dal Procuratore Giancarlo Caselli, in particolare Alfonso Sabella. Attualmente é editorialista della Gazzetta di Asti.
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