Un summit del non detto che rivela la realtà. Apparentemente non classificabile per l’atteggiamento enigmatico e la profusione di cortine fumogene del Presidente russo, il vertice di Ginevra fra Biden e Putin rivela sostanzialmente i punti deboli di Mosca.
Sulla cybersecurity, in particolare, le affermazioni di Putin evidenziano il tentativo di attestarsi sull’alibi degli attacchi partiti dal nord america o dall’Inghilterra, confermando implicitamente come Mosca sia perfettamente in grado di far partire l’azione degli hacker ben lontano dalla Russia. 
Per il resto, sul nucleare, la Cina, l’Iran il Medio Oriente e il Nord Africa, paradossalmente quello che non è stato detto è più importante dei punti affrontati.
Tattica seguita anche da Presidente americano Joe Biden che ha posto l’accento sui punti di convergenza, che si riducono essenzialmente alla moratoria nucleare e al proseguimento della trattativa globale Usa Russia, e non ha approfondito le criticità dei rapporti fra Washington e Cremlino, sottolineando elegantemente come “l’ultima cosa che Putin vuole è la guerra fredda”
Da esperto statista, avendo come obiettivo di scongiurare una alleanza economico militare fra Cina e Russia, il Presidente Usa ha fatto finta di non accorgersi del tentativo di Putin di cambiare le carte in tavola e pur insistendo sul rispetto dei diritti umani e sulla liberazione di Aleksej Navalny, che probabilmente a breve sarà liberato ed espulso, ha fatto presente all’interlocutore che è essenziale mantenere la stabilità strategica e instaurare una concreta e crescente collaborazione attraverso continui negoziati e trattative.
Ginevra rappresenta insomma una prima importante tappa per la normalizzazione dei rapporti fra Stati Uniti e Russia. Con la consapevolezza da parte di Biden che le furberie e la malafede non sono mai a corto di argomenti, persino dei più imprevisti. Ma Pechino val bene il gioco delle tre carte del Cremlino.
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