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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Non è facile, per una donna, vivere accanto a uno scrittore, sia esso suo padre o suo marito. Ne erano consapevoli Balzac che ammoniva: “Dio preservi le donne dallo sposare un uomo che scrive libri” e Sciascia che, citando il romanziere e drammaturgo francese, provocatoriamente si chiedeva: “E da un uomo che ha scritto i libri che Pirandello ha scritto?”.
Proprio Sciascia e Pirandello sono i protagonisti del saggio di cui ci si occupa: il primo in via mediata, il secondo direttamente. Il saggio infatti è scritto dalla figlia dello scrittore di Racalmuto, Anna Maria Sciascia, dopo avere superato le remore di occuparsi di letteratura originate dalla sua condizione familiare, e indaga sulle inquietudini vissute dalla figlia di Pirandello, Lietta, e sul dramma della moglie, Antonietta Portulano, entrambi legati all’ardua convivenza col premio Nobel agrigentino. Il saggio s’intitola “Il gioco dei Padri – Pirandello e Sciascia” ed è stato di recente riedito da Avagliano – una di quelle encomiabili realtà editoriali indipendenti che puntano sulla qualità – in concomitanza con l’anniversario del centenario dell’autore de “Il giorno della civetta”.
E’ un saggio che si segnala per la sensibilità e l’acume psicologico con cui l’autrice si accosta alle figure che ne sono al centro: Lietta Pirandello e Antonietta Portulano.
Anna Maria Sciascia rivela accentuata sensibilità e perspicace acume psicologico, quasi al punto di immedesimarsi nelle infelici creature su cui punta i riflettori, sia perché la sensibilità e l’arguzia psicologica fanno parte del suo patrimonio, sia per altri motivi: l’essere donna (una donna sa leggere con gli occhi e il cuore di donna i patemi di una persona del suo stesso genere), l’avere vissuto con una padre scrittore con l’intima convinzione che la passione letteraria le fosse proibita perché legittima solo in uno scrittore di rilievo come il padre, irraggiungibile in qualsiasi eventuale progetto di scrittura.
