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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonio Borgia
Non tutti sanno che lo sbarco degli alleati in Sicilia, nel luglio 1943, ha avuto anche delle conseguenze estremamente negative, protrattesi fino ai nostri giorni.
Le generazioni del dopoguerra hanno correttamente studiato sui libri che l’invasione consentì la caduta del regime fascista, la liberazione dell’Italia e la sconfitta dei nazisti ma, probabilmente, ignorano alcune problematiche connesse che hanno inciso sulla nostra storia. 
Come segnalato da Michele Pantaleone (libro «Mafia e politica. All’origine di cosa nostra»), nel 1939 il fenomeno mafioso era ridotto a gruppi isolati e dispersi, e avrebbe potuto essere del tutto distrutto o dimenticato solo se si fossero voluti affrontare alla radice i problemi sociali dell’Isola, sia pure limitatamente a una sana riforma agraria.
Invece, l’ordine pubblico post invasione, la carenza dei pubblici poteri, il sorgere del banditismo, l’occupazione alleata con la presenza di mafiosi italo-americani e la riacquistata importanza dei capimafia, tollerata e in molti casi agevolata dal comando americano, portò all’avvio di una nuova era per cosa nostra.
Ripercorriamo quanto accadde.
Negli Stati Uniti d’America dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, numerosi episodi fecero temere l’avvio di un’attività spionistica nazista finalizzata ad attuare azioni di sabotaggio nei porti della costa est nonché a rifornire, con pescherecci, i sottomarini tedeschi che stazionavano al largo, in attesa della partenza dei convogli navali diretti oltre Atlantico, per poi affondarli.
A confermare i sospetti su azioni dello spionaggio nazista, vi fu il 9 febbraio 1942, alle foci del fiume Hudson, l’incendio che distrusse l’ex transatlantico Normandie, utilizzato per il trasporto truppe.
Così, per prevenire e scongiurare ulteriori analoghi episodi, il Comandante Charles Haffenden, che guidava una delle unità dell’Intelligence della Marina americana, contattò la mafia siculo americana che controllava le attività del porto di New York , tramite i sindacati dei lavoratori portuali di origine italiana.

E’ l’inizio dell’operazione segreta, nome in codice “Underworld”, che portò all’utilizzazione degli esponenti la mafia italo-americana da parte del governo degli Stati Uniti d’America. Un’operazione bellica strategica che avrebbe avuto per decenni gravi ripercussioni non soltanto per la Sicilia ma per l’intero nostro Paese.
Sfruttando i contatti con Joseph Lanza, affiliato alla famiglia Genovese, e Frank Costello (che contattò il boss Lucky Luciano, allora in carcere dove stava scontando una condanna ad oltre 40 anni), l’Ammiraglio Haffenden e l’intelligence Usa ottennero l’aiuto delle famiglie mafiose.
Tale collaborazione, a detta di molti storici e della Commissione Parlamentare antimafia del 1976, proseguì con la richiesta dei servizi segreti statunitensi di agevolare l’invasione della Sicilia, forse anche a livello di intelligence. Richiesta accettata per la intermediazione di Luciano con Calogero Vizzini, all’epoca capo dei capi in Sicilia.
Sul numero 7 del luglio 2008 della Rivista di Storia e Informazione «INSTORIA», Davide Caracciolo ricorda che, nel 1954, il Commissario Investigativo dello Stato di New York – William B. Herlands –, nella sua inchiesta ufficiale svolta fra gennaio e settembre di quell’anno, «dimostrò che tra il Naval Intelligence e il capo della mafia italo-americana era stato sancito un accordo in virtù del quale la malavita aiutò gli agenti della Marina a salvaguardare il porto di New York dagli atti di sabotaggio compiuti dalle spie tedesche e dai simpatizzanti di Mussolini… »
«I buoni risultati ottenuti nel porto di New York, fecero decidere ai capi del Naval Intelligence di sfruttare l’accordo con la malavita organizzata per pianificare la futura occupazione della Sicilia. Per preparare lo sbarco occorrevano informazioni dettagliate sull’isola.»
«L’aiuto consistette nel mettere in contatto i servizi segreti americani con l’”onorata società” siciliana. Il sostegno che la mafia siciliana dette ai servizi segreti fu più di tipo logistico che propriamente militare. Compito principale dei mafiosi era quello di accogliere e nascondere gli agenti segreti dell’OSS (Office of Strategic Service) sbarcati clandestinamente in Sicilia mesi prima dello sbarco. Insieme avrebbero dovuto raccogliere informazioni su postazioni difensive costiere, campi minati, armamenti, fortificazioni e movimenti di truppe.»
«Successivamente al momento dello sbarco, mafiosi e agenti segreti avrebbero dovuto creare il caos nelle comunicazioni delle forze di difesa, provocando interferenze telefoniche e telegrafiche e interruzioni stradali. Segnale d’inizio dell’operazione fu un fazzoletto giallo con al centro una L nera, rappresentante l’iniziale di Lucky Luciano, lanciato da un aereo su Villalba avente come destinatario il capo mafia siciliano don Calogero Vizzini.»
Diversi storici, fra cui Michele Pantaleone (libro «Mafia e politica. All’origine di cosa nostra») hanno accreditato la citata tesi del fazzoletto che costituiva il segnale concordato per avviare l’accoglienza mafiosa che Luciano aveva richiesto tramite gli emissari.
Il 20 luglio 1943, Vizzini, previa esibizione del fazzoletto pervenutogli, venne prelevato da una pattuglia americana, presentatasi su carri armati, e trasportato presso il comando delle truppe, rimanendovi sei giorni, nel corso dei quali (secondo Pantaleone) il boss indicò, per la carica di sindaco di molti comuni, i nominativi di persone notoriamente mafiose o legate alla mafia.
Purtroppo, accettando, gli Alleati fornirono una palese e incredibile legittimazione ai mafiosi siciliani, provocando le nefaste conseguenze protrattesi nei decenni a venire.
I due noti boss Calogero Vizzini e Genco Russo vennero nominati sindaci, rispettivamente, dei comuni di Villalba e Mussomeli, contribuendo a rafforzare il dominio territoriale delle famiglie criminali di appartenenza. Oltretutto, i nuovi primi cittadini e i loro fiancheggiatori vennero autorizzati a portare armi da fuoco.
Nel 1945, il console americano a Palermo, in un rapporto ufficiale, ricordò che il Generale italiano Giuseppe Castellano, che aveva firmato l’armistizio con gli Alleati, gli aveva suggerito di trovare accordi con la mafia perché poteva gestire e risolvere, agevolmente, tutti i problemi riguardanti il banditismo e le violenze nell’isola.
Nel suo libro «Una lunga trattativa», Giovanni Fasanella cita il contenuto di un rapporto rinvenuto negli archivi di Stato britannici, intitolato «Il problema della mafia in Sicilia» e redatto dal Capitano W.E. Scotten della Military Intelligence (inviato appositamente in Sicilia, pochi mesi dopo lo sbarco, per studiare il fenomeno e fornire soluzioni) nel quale si affermava:
«Si è verificata, sin dallo sbarco, una forte rinascita della mafia; ciò avrà gravi implicazioni per la situazione politica attuale e futura dell’isola e del resto d’Italia; è necessario affrontare il problema il prima possibile…Il terrore della mafia sta rapidamente ritornando in auge e, una volta attecchito, il problema si moltiplicherà all’infinito creando difficoltà alla polizia…la popolazione siciliana non crede che i carabinieri o gli altri corpi di polizia siano in grado di affrontare la mafia…Sotto il fascismo, la mafia non era stata interamente debellata, ma veniva almeno tenuta sotto controllo. Oggi invece cresce con una velocità allarmante».
Il Capitano Scotten, secondo Fasanella, propose tre soluzioni:
– un attacco frontale alla mafia;
– una tregua negoziata;
– lasciare di fatto l’isola ai clan, dislocando le truppe alleate in alcune località strategiche.
La seconda opzione fu quella scelta, anche se comportava molti rischi.
I termini dell’accordo suggeriti erano così indicati: «Gli Alleati acconsentono a non interferire con la mafia, a patto che questa accetti di desistere da tutte le attività riguardanti il movimento e il commercio di generi alimentari o di altri beni di prima necessità, destinati alla popolazione; oppure, di prodotti che servono alla prosecuzione della guerra; oppure, di attività che riguardano i trasporti e le comunicazioni nell’isola e le operazioni negli aeroporti e nelle basi militari e la manodopera impiegata…».
In pratica, si lasciava alla mafia il pieno controllo territoriale per lo svolgimento delle attività illecite di pertinenza, ad esclusione di alcune ipotesi delineate, per proseguire l’avanzata in Italia (senza problemi alle spalle) e in prospettiva di affrontare il problema del comunismo –sovietico e jugoslavo-, nel cui ambito la Sicilia era ritenuta, per la sua posizione nel Mediterraneo, estremamente importante, soprattutto in considerazione delle aspettative petrolifere in quell’area.
Nel libro «Controvento», il giornalista Attilio Bolzoni riprende tale rapporto rinvenuto negli archivi del National Archives di Kew Gardens, alle porte di Londra, per indicare il contenuto delle tre ipotesi prospettate dal Capitano Scotten.
