“Dopo una mazzata così, voglio vedere con quale faccia Di Maio si presenterà ai gruppi parlamentari” sibila una parlamentare dei 5 Stelle, dopo che le è stata assicurata l’anonimato per il lapidario commento. Un’opinione che riflette, assicura, i diffusi timori dei peones grillini a Montecitorio e al Senato.
Il disastro delle europee ha provocato uno shock all’interno del movimento. Anche se molti davano per scontato un certo calo rispetto alle politiche, nessuno dei parlamentari immaginava un’implosione di queste proporzioni, con un drammatico dimezzamento dei voti ottenuti a furor di popolo appena un anno addietro.
Come è potuto succedere? A cosa è dovuto un tracollo di consensi di tale portata? Alla ricerca delle cause e degli effetti della Caporetto del 26 maggio non sono soltanto i parlamentari che temono di perdere il seggio, ma soprattutto la cabina di regia del Movimento: Beppe Grillo, Davide Casaleggio e il Presidente della Camera Roberto Fico. Nessuno dei quali è sceso in campo nella campagna elettorale, lasciata interamente nelle mani del Vice Premier Luigi Di Maio.
Una leadership, quella di Di Maio sulla quale si registra un crescendo di interrogativi. Un crescendo che non è ancora una formale messa in stato d’accusa politica, ma che oggettivamente incombe pesantemente sull’accesissimo dibattito in corso in casa 5Stelle.
Gli interrogativi sull’effetto Europee investono anche il Governo. Palazzo Chigi è nell’occhio del ciclone, nonostante le diplomatiche e sottili rassicurazioni di Matteo Salvini: avanti tutta con la riduzione delle tasse, la Tav e l’autonomia regionale, ha chiosato il leader leghista.
E’ evidente che il ruolo del Premier è destinato a subire oggettivi contraccolpi, anche rispetto al rapporto col sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti.
Salvini ha tutto l’interesse a non far cadere un Governo che, magari con un lieve rimpasto per riequilibrare i rapporti di forza, si fa carico di portare avanti le riforme e i programmi che premono alla Lega. In primo luogo: flat tax, Tav, autonomia regionale, sblocca cantieri e regolamentazione dell’immigrazione.
Se i 5 Stelle non ci stanno, Salvini è pronto ad andare all’incasso delle elezioni anticipate a settembre, anche con il concorso di Giorgia Meloni, che ha imboccato la strada giusta per rifondare la destra distrutta da Fini, nonchè del resuscitato Pd di Nicola Zingaretti, che ha l’urgenza di archiviare il renzismo al Nazareno e ai gruppi parlamentari.
Per i 5 Stelle le alternative sono due e mezza:
- Prima alternativa. Sostituire Di Maio con Fico o Di Battista alla leadership e scegliere la via originaria dell’opposizione per evitare di essere del tutto cannibalizzati dall’alleanza suicida con la Lega
- Seconda alternativa. Provare ad andare avanti, con un rimpasto di Governo che sostituisca con un leghista il Ministro Toninelli alle Infrastrutture, e scelga altri titolari ai ministeri della Salute, del Sud, dei Beni Culturali e ai Rapporti con l’Europa. Un governo gialloverde bis per approvare delle riforme concrete e soprattutto per varare la non facile finanziaria di fine anno.
- Terza mezza alternativa. Sostituire Di Maio con Fico e tentare il ribaltone di un governo 5 Stelle – Pd. Tentativo sulla carta destinato a fallire, ma che per senso dello Stato sarà analizzato a fondo al Nazareno e dintorni.
Facile prevedere che fra la festa della Repubblica e metà giugno Governo e forze politiche avvieranno un chiarimento istituzionale, essenziale per delineare il ruolo internazionale del Paese, non soltanto a livello europeo quanto sul versante economico e della tenuta dei conti pubblici.