Nel sintagma “consulenza filosofica” il sostantivo attrae e l’aggettivo scoraggia. Consulenza attrae per ragioni sbagliate o, per lo meno, opinabili: suggerisce spesso l’idea di qualcuno che ti offra la risposta pronta-da-portare a casa, ma già Kant metteva in guardia i suoi contemporanei dal rischio di delegare a esperti le proprie decisioni esistenziali. Filosofica scoraggia, invece, per motivi purtroppo ben fondati: infatti la maggior parte dei filosofi di professione non solo non si sforza di tradurre il proprio discorso in lingua volgare, ma addirittura tende a distinguersi proprio per la ricercatezza e l’originalità della terminologia, ben oltre i casi in cui una astrattezza concettuale e una precisione tecnica risultano inevitabili.
In questo contesto socio-culturale non c’è da meravigliarsi delle difficoltà di decollo della nostra professione di consulenti filosofici. Urge una bonifica dell’immaginario collettivo che dia della consulenza filosofica, e prima ancora della filosofia, un’idea meno inadeguata possibile.
Un libretto che, nonostante l’esiguità della mole e la modestia del titolo, ottempera efficacissimamente a questo scopo è senz’altro La filosofia spiegata a mia figlia (Archinto, Milano 2005) di Roger-Paul Droit.
Sin dalle prime battute l’autore segnala i due “tranelli” opposti dai quali bisogna guardarsi: da una parte, lasciarsi intimidire, ignorando che, per iniziare a filosofare, “bastano alcune domande e la capacità di riflettere” (p. 7); dall’altra ritenere che “in fondo si tratti di una cosa facile” (p. 7), banale, che non esiga nessuna attenzione specifica.
Egli, riprendendo soprattutto il Socrate platonico, spiega che il filosofo – come molti altri intellettuali – cerca la “verità”, ma la cerca da un’angolazione peculiare: “Chi cerca la verità nella matematica di solito è un matematico; chi si occupa di storia è uno storico e così via. Se anche i filosofi cercano la verità in tutte queste discipline, devono farlo in modo speciale, come se lavorassero in un campo trasversale a tutti gli altri. La soluzione non è lontana: i filosofi cercano la verità nel campo delle idee. […] Il filosofo non si occupa di giustizia come farebbe un giudice o un avvocato. Quello che gli interessa è l’idea di giustizia; non si occupa del potere nel modo in cui lo fa un uomo politico, cerca piuttosto di analizzare a fondo l’idea di potere. Ed è così in tutti campi” (p. 15).
Ma se il filosofo si occupa di idee, perché il matematico o lo storico, il giudice o l’avvocato o il politico dovrebbe chiedergli un incontro per chiarirsi le proprie idee (sia in ambito professionale che, prima ancora, come essere umano)? Perché con idee confuse, opache, indistinte, si può vivere, ma con idee vagliate criticamente si può “vivere meglio, in modo più umano, più intelligente, più ricco” (p. 16): “è importantissimo sapere quali sono le idee giuste e le idee sbagliate. Immagina che qualcuno abbia un’idea sbagliata della felicità o della libertà. Vuol essere libero e felice, ma non trova la strada giusta, si smarrisce e si sforza…inutilmente! Crederà di avere ragione, ma se la sua idea è sbagliata è molto probabile che non raggiunga lo scopo e sprechi la sua vita” (p. 19).
Questa concezione della filosofia la si intende meglio se, andando alle spalle di molti filosofi moderni e contemporanei, si riscopre la figura originaria del sapiente-saggio: di uno che sa (sapiente), ma sa anche vivere (saggio). O meglio: di uno che cerca con vivo desiderio sia di essere saggio (è la preoccupazione prevalente, ma non esclusiva, sino all’inizio dell’età moderna) sia di essere sapiente (è la preoccupazione prevalente, ma non esclusiva, dall’età moderna a oggi).
I pregi del piccolo libro non lo esimono da qualche passaggio, qua e là, che si sarebbe potuto formulare con più attenzione: per esempio, là dove scrive che le risposte alle domande metafisiche sono “costruzioni intellettuali che non rientrano nel campo delle cose verificabili” (p. 66), avrei aggiunto volentieri un limitativo (“almeno non nello stesso modo in cui sono verificabili le teorie delle scienze empiriche”) per evitare di dare l’impressione che l’esperienza, personale e collettiva, non abbia nessuna funzione di verifica delle teorie metafisiche.
Nel complesso, comunque, si tratta di uno strumento prezioso per abbattere i principali pregiudizi verso l’attività filosofica e, dunque, conseguentemente verso la filosofia-in-dialogo che può esercitarsi in uno studio di consulenza filosofica.