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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Valeria D’Onofrio
La letteratura li aborrisce, come fossero la peste della narrazione, la negazione del suo stile. E ogni volta che sto per segnarli accanto ad un pensiero, mi guardo intorno, per paura di essere spiata e bacchettata da un immaginario, intransigente, editore.
Cosa li renda così invisi, non mi è chiaro perché io, invece, li amo. E li uso, trovandoli insostituibili.
Tra i segni di interpunzione, i “tre puntini sospensivi” sono indiscutibilmente i miei preferiti.
Anche il punto singolo, indubbiamente, non mi dispiace. La sua perentorietà, il saper metter fine, consentendo un nuovo inizio, custodisce in sé un gran fascino che non ho mai sottovalutato e qualche volta subito.
La virgola è un’amica fedele, la maneggio con disinvoltura, a volte eccessiva. Bisogna stare attenti a non sottovalutarla, perché ci può tradire nel nostro senso più profondo. In genere, però, è la continuità di qualcosa che non voglio interrompere. Alla quale, di tanto in tanto, chiedo di riprendere fiato.
I due punti, invece, non mi hanno mai presa . Forse perché non amo gli elenchi o le liste. O forse perché sono anche matematici e lì, in matematica, indicano perlopiù una divisione, che è qualcosa alla quale, per natura, non sono incline.
Poi c’è il punto e virgola, che resta per me un gran mistero. Ogni tanto vorrei usarlo, ma quasi mai ci riesco. Non lo padroneggio. È quella via intermedia che non mi appartiene. Non ha la discrezione, magari a volte anche anonima, della virgola; non la forza del punto singolo. Il punto e virgola, lo dico, mi appare un po’ insipido, ne’ carne, ne’ pesce. Quasi fosse il simbolo di un’adolescenza di intenti.
Diverso è quello esclamativo, che qualche volta mi arriva come un urlo in faccia, ma più spesso, almeno per me, ha il suono fragoroso di una risata a piena gola!
Un trasporto particolare lo nutro, poi, per quello interrogativo. Ma, d’altra parte, come si fa a non voler bene al punto interrogativo? Non ha presunzioni, o almeno quasi mai. È curioso, anzi, curiosissimo! Ed è morbido, sinuoso. Staccato dalla sua base, come un dubbio dalla certezza. Quasi a volerla raggiungere, senza necessariamente riuscirvi.
I tre puntini, però… I tre puntini, mi ripeto, sono irresistibili !
Sono come tre affermazioni diverse che discutono tra loro. Sono sassolini lasciati per ritrovare una strada. Un ricamo di possibilità. I tre puntini sono sospensione del tempo, del tono, del pensiero. Sono cose che verranno, o che non verranno mai. Sono pazienza e impazienza, e quiete, e movimento. Ordinati, nella loro equidistanza e, proprio per questo, capaci di scatenare il caos. Dando finalmente fiato a un non detto o confluendo in un silenzio che può essere per sempre. E senza neppure aver pronunciato un “mai più!”.
I tre puntini sono una pausa lunga quanto… Non si sa. Una porta ancora aperta che si può scegliere di varcare, per poi chiuderla con una frase ad effetto, che abbia al fine il suo punto solitario. O sulla cui soglia ci si fermerà a lungo…Tacendo.
I tre puntini rallentano, ma non escludono mai. Anzi, sono per loro natura inclusivi, accolgono tutto, incondizionatamente. Anche la più tormentata delle esitazioni. Quella che più si avvicina alla paura. È la scrittura che si prende una pausa per lasciarci il tempo di ascoltare bene cosa abbiamo dentro.
Il resto… si vedrà.
Valeria D’Onofrio
Giornalista professionista, già collaboratrice di Porta a Porta e cronista parlamentare, dal 2001 al 2003 è stata vice-capo Ufficio Stampa del Ministro per le Pari Opportunità, autrice-testi del docu-film celebrativo dei 50 anni del Concilio Vaticano II, per il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali del Vaticano e collaboratrice di Radio Rai. Attualmente, per Radio 1 Rai, è co-autrice di Italia sotto inchiesta, il programma di Emanuela Falcetti.