Che ne sarà dell’America col ritorno di Donald Trump? Le risposte vengono tutte dai pessimisti e dagli indifferenti. Tranne Putin e populisti non ci sono ottimisti.
Con la strada spianata verso la nomination e la grande rivincita della rielezione alla Casa Bianca dalla sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato l’ex Presidente elegibile, nonostante sia stato l’evidente mandante dell’assalto al Congresso e del tentativo di colpo di Stato per impedire la ratifica del legittimo insediamento di Joe Biden, a meno di un miracolo fra dieci mesi, il 20 gennaio 2025, il pluri inquisito tycoon giurerà nuovamente sulla Costituzione americana.
O meglio, spergiurerà, assicurano i pessimisti che temono spregiudicate forzature giudiziarie autoassolutorie, ma soprattutto i colpi di testa in politica estera a favore della Russia di Putin, contro l’Ucraina, l’Europa e la Nato del 47esimo Presidente degli Stati Uniti.
Sarà davvero così o le istituzioni e gli apparati governativi federali saranno in grado di limitare per altri quattro anni gli inevitabili danni della nuova presidenza Trump?
Se lo augurano in molti, soprattutto in Europa e perfino in Cina. Pechino teme infatti che la nuova amministrazione sposti sull’indo pacifico l’attuale baricentro europeo e assieme all’India, all’Australia e al Giappone, accentui la sfida economico militare nei confronti della Cina.
Per il potere quattro anni passano in fretta, ma per l’umanità possono durare un’eternità.
Tragicamente veritiera la definizione più corrispondente alla realtà l’ha data, in un’epoca non sospetta ma che purtroppo ha fatto storia, il Ministro degli Esteri della Cecoslovacchia Jan Masarik che nel 1948 venne fatto precipitare dalla finestra e suicidato dal regime sovietico di Stalin: “I dittatori sono governanti che hanno sempre un bell’aspetto, fino agli ultimi dieci minuti.”
E sono proprio quei 600 secondi di Trump, come di Putin o di Xi Jinping, a terrorizzare il mondo.
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