by Gianfranco D’Anna
Conferenza di Monaco capolinea dell’Europa o step del metodo del caos che il Presidente Donald Trump sembra aver inaugurato da quando é tornato alla Casa Bianca?
Dai dazi per tutti alla minacciata riappropriazione del Canale di Panama, dalle ventilate annessioni di Canada e Groenlandia alle telefonate con un Putin grondante di lacrime di coccodrillo, quantomeno dialetticamente, il metodo del caos di Trump consiste nel creare una situazione di confusione e disordine iniziale per riuscire a valutare meglio spazi e possibilità di trattative e compromessi.

Se, come si potrebbe dedurre dal nucleo essenziale, depurato dalle evidenti frasi ad effetto ideologico populistiche contro l’Europa, dell’intervento da poliziotto buono del Vice Presidente americano James David Vance (“Europa partecipe delle trattative per la fine della guerra in Ucraina” e “truppe Usa in Ucraina se Putin non è in buona fede”), la Conferenza sulla sicurezza di Monaco in realtà é una delle ancora imprevedibili tappe lungo le quali si snoda la teatrale astuzia di Trump per fare uscire allo scoperto il Cremlino e vedere le carte o il “bluff” di Putin.

E’ quanto lasciano supporre le affermazioni di Vance quando ha assicurato che gli Stati Uniti colpiranno Mosca con sanzioni e persino con la forza, se Putin non accetterà una tregua con l’Ucraina che garantisca l’indipendenza a lungo termine di Kiev.
Ma mentre gli storici paventano per l’Ucraina un replay della tragica conferenza del 1938 ed i commentatori evidenziano l’isolamento dell’Europa, Parigi, Londra e Bruxelles rilanciano il sostegno militare a Kiev.
Un rilancio tanto perentorio che a Washington dietro le quinte della nuova amministrazione Pentagono e intelligence stanno valutando attentamente i risvolti e le ricadute sulle alleanze con Londra e l’Europa delle prese di posizione del Premier inglese, Lord Keir Starmer (“Londra continuerà ad appoggiare l’Ucraina contro la Russia” e “Non ci possono essere negoziati senza Kiev”) del Presidente francese Macron (“la Francia e l’Europa sono pronte a farsi carico di una pace, purché non sia una capitolazione alla Russia”) e dello stesso Presidente Ucraino Zelensky che ha astutamente capovolto il senso del paventato tramonto dell’ingresso del suo paese nella Nato con un diplomatico “se non possiamo entrare nella Nato, allora che sia la Nato ad entrare in Ucraina”.
L’analisi comprende gli scenari internazionali del confronto sul versante indo pacifico e sul fronte dell’economia globale con la Cina e sottolinea l’assoluta esigenza di non incorrere nell’errore strategico di lasciare l’Europa alla mercé dello tsunami della pervasiva penetrazione commerciale e finanziaria di Pechino. Se non altro perché le produzioni cinesi scalzerebbero le esportazioni americane.
L’eventuale braccio di ferro con l’Inghilterra, in aggiunta alle frizioni col Canada, comporta inoltre il rischio di incrinare lo storico accordo multilaterale strategico conosciuto con la sigla Five Eyes, la stretta alleanza delle intelligence che assieme agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda. Cioè l’Inghilterra e quattro paesi strettamente legati al Regno Unito, che non seguirà Trump in un’eventuale deriva sfavorevole all’Ucraina.
Tutte valutazioni che riconducono all’ipotesi di un Trump intenzionato a porre fine alla guerra in Ucraina avviando una roadmap che prevede intanto il cessate il fuoco e successivamente l’avvio di trattative.
Cessate il fuoco che di fatto sancirebbe il fallimento della tentata invasione di Putin, costata alla Russia fra i cento e i duecentomila soldati morti e altrettanti feriti, la perdita di quasi tutto l’arsenale militare convenzionale ed una crisi socio economica dalle pesanti conseguenze. Per non parlare dell’invasione di parte della regione di Kursk subita da Mosca.
Un bilancio che sovraespone il Presidente russo, nonostante tutta la propaganda possibile e una prevedibilmente trionfale parata moscovita del 9 maggio, per l’anniversario della vittoria sul nazismo, alla presenza del leader cinese.
Sarà imbarazzante per Xi Jin Ping, che conosce bene la situazione reale, constatare come Putin fra una telefonata e l’altra con Washington sia in realtà con le spalle a muro.
Ed é forse questo il retropensiero che potrebbe coltivare Trump: lasciare che il “problema Putin” venga risolto dai russi…
