Alba di rabbia e di revanche sulle rive del Tevere fra i grillini che fino al tardo pomeriggio del lunedì nero dei risultati delle amministrative si sono illusi sulla resurrezione impossibile di Virginia Raggi. Una Sindaca ormai scaduta e scadente.
A Roma si incrociano, e si svilupperanno ulteriormente, tutte le contraddizioni e le diagnosi politiche dell’importante test elettorale per il Paese che ha coinvolto oltre 12 milioni di persone, un quarto abbondante della popolazione residente in Italia, che hanno votato per il rinnovo delle amministrazioni di 1.342 comuni, dei quali 6 capoluoghi di regione e 20 di provincia ma anche per l’elezione di due parlamentari nazionali e la scelta del nuovo presidente della Regione Calabria.
Bilanci e prospettive di chi vince e chi perde non possono che partire dalla Capitale, dove incuria, rifiuti, cinghiali, buche, trasporti e ingorghi hanno presentato il conto alla Raggi che da Sindaca uscente non solo non va al ballottaggio, ma è relegata in coda alla classifica, superata al terzo posto fra i candidati dall’outsider di successo Carlo Calenda, proiettato alla conquista di un ruolo nazionale.
Chi Vince
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Enrico Letta
Oltre ad aggiudicarsi un tris di schiaccianti successi al primo turno a Milano, con Beppe Sala, a Bologna con Lepore e a Napoli con Manfredi, conquista una personale rivincita e una preziosa golden share politica. La rivincita riguarda il ritorno a pieni voti alla Camera come deputato eletto nella circoscrizione di Siena. La golden share è quella dei 5 Stelle, ormai praticamente Letta-dipendenti.
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Mario Draghi
Defilato e riservatissimo il Premier è il vincitore oggettivo, ma sostanziale, delle amministrative perché l’efficienza e l’operatività del Governo hanno talmente evidenziato la differenza con la vecchia politica clientelare inconcludente e ostaggio della burocrazia che l’opinione pubblica ha riversato i consensi sui candidati omogenei all’esecutivo e penalizzato quanti hanno tentato di mettere in difficoltà l’esecutivo e di tenere il piede in due staffe: a Palazzo Chigi e all’opposizione.
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Giancarlo Giorgetti
Anche se quella del Ministro dello sviluppo rischia di essere una vittoria di Pirro, la domanda che tutti si fanno è: basterà l’autocritica di Matteo Salvini per tentare di riattaccare i cocci di una Lega che ha clamorosamente sbagliato la scelta del candidato per Milano e ha impostato una campagna elettorale fallimentare e contraddittoria. Oppure è necessaria una svolta per rilanciarla? La risposta soffia nelle stanze di via Bellerio e della Confindustria, ai vertici delle regioni leghiste e in vari ministeri.
Chi perde
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Matteo Salvini
Abile dialetticamente, il segretario della Lega viene sistematicamente smentito dai fatti. Dall’estate del Papete del 2019 non azzecca più una mossa. Nel lungo elenco delle sconfitte e dei pesci in faccia rimediati in questi anni da Milano a Roma a Napoli, la débâcle non solo numerica ma anche mediatica delle amministrative lascia però strascichi profondi che potrebbero ridimensionarlo. Ancora non si capisce se dovrà affrontare un congresso anticipato o un vertice di partito in stile politbüro russo, come quello storico che defenestrò Kruscev. Secondo gli ambienti parlamentari, per evitare un eventuale colpo di testa che potrebbe culminare con la creazione di un partito personale, Matteo Salvini sarà commissariato da uno specifico ufficio di segreteria. Almeno fino alla scadenza del Quirinale…
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Giuseppe Conte
Anche se l’ex Premier sta dando fondo a tutta la sua capacità di acrobazie verbali, da qualunque parte lo si osservi, il risultato dei 5 Stelle è classificabile fra il disastroso e il fallimentare. Elettoralmente, compresi gli ultimi sussulti romani, l’encefalogramma politico del Movimento è piatto. E con queste percentuali alle politiche non si va da nessuna parte, tanto che già si intravede un fuggi fuggi generale di parlamentari e un si salvi chi può di eletti grillini negli enti locali. L’ultima speranza dei 5 Stelle e di Giuseppe Conte per non disperdere i residui consensi è quella di liste comuni col Pd. A 12 anni dalla fondazione da parte di Beppe Grillo e Gian Roberto Casaleggio del Movimento che doveva scardinare le istituzioni come una scatoletta di tonno, l’epilogo rammenta quello delle riserve indiane. Ma senza l’orgoglio dei capi di tribù piegate e piagate dalla enorme disparità di armamenti, dall’alcolismo e dalle malattie. Oltre a non lasciare tracce l’evaporazione dei grillini è quasi sempre imputabile infatti alla pervasività del potere.
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Virginia Raggi
Esce di scena nel peggiore dei modi, ultima fra i candidati romani e si trasforma nel termine di paragone dell’eclisse dei 5 Stelle.
Chi pareggia
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Carlo Calenda
Da solo contro tutti l’europarlamentare ha dimostrato di avere idee, seguito e soprattutto voti. Probabilmente se non fosse stato penalizzato dalla drammatica flessione dell’affluenza registratasi soprattutto a Roma avrebbe sfiorato il ballottaggio. L’exploit di Calenda rappresenta l’avvio della formazione di una nuova aggregazione politica che si riconosce nel Premier Mario Draghi. Anche senza la benedizione e il riconoscimento da parte del Premier. Ne potrebbero far parte Renzi, i parlamentari in uscita da Forza Italia e in prospettiva probabilmente Beppe Sala e ambienti confindustriali e post leghisti
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Giorgia Meloni
In mezzo al guado del ballottaggio a Roma fra Michetti e Gualtieri, la Presidente di Fratelli d’Italia anche se non ha perso e non ha vinto ha tuttavia prevalso nel confronto con la lega ed esce largamente vincente nella sfida diretta con Matteo Salvini. Lungo la rotta delle politiche restano da rimuovere due insidiosi scogli: la carenza di classe dirigente e la difficile elaborazione del lutto del superamento del fascismo.