Cuore & Batticuore Rubrica settimanale di posta storie di vita e vicende vissute
by Giuditta Perriera
Se penso a un padre penso all’origine del mio cammino. Se mi rivolgessi alla madre direi subito e prontamente: ti voglio bene.
Il cordone che ci lega a loro dalla nascita ci permette qualsiasi confidenza. Ma un padre…Un padre lo conosci solo durante la strada della tua vita. Si insinua piano piano e da lontano.
E’ come il picco di una montagna a cui aspiri di arrivare. Lassù, in cima, si trova l’orizzonte della tua vita e raggiungerla a volte sembra un’impresa.
E’ il primo uomo di cui ci si innamora ed è anche l’unico che non si smetterà mai di amare.
E’ colui che nell’immaginario di un bambino dovrebbe avere due braccia forti e grandi, che ti copre le spalle, che ti dirige il pensiero, che fa da specchio alla tua anima.
E quando non c’è o è mancante o carente, si cresce pensando che non esistano le cime alte e innevate di bianco. E’ l’origine dei sogni e delle fiabe. Che ti porti alle giostre o meno, Lui ti fa girare il mondo per poi riportarti a casa, al sicuro.
E’ la conferma che tu esisti ed esisti come volontà, come scelta, libera e gioiosa scelta.
Voglio festeggiarlo camminando per strada o per i campi o sulla spiaggia, perché il padre segna il movimento, la spinta ad andare, a cercare una direzione e prenderla con forza.
Amo i padri che non smettono di essere un pò figli e che lasciano ai figli il desiderio di contrastarli.
Amo il loro modo d’amarti come di chi chiede continuamente la conferma del tuo amore, consapevoli che l’ultima parola spetta a te.
Amo il loro sentirsi a disagio quando tengono per mano i loro figli, come diventano impacciati e impreparati quando li stringono in braccio, come stessero reggendo qualcosa di estremamente fragile e prezioso. Eppure dal primo momento ti sollevano alto, verso il cielo e ti mostrano il panorama del mondo.
Festa del papà… Io me la ricordo col segno di una biro avvolta in un foglio di quaderno, un’eterno sorriso che chiedeva il mio bene e due braccia che si allungavano verso di me per poi aprirsi al mondo.
Dovremmo poter vedere sempre quelle braccia che si allungano verso di noi. Dovremmo credere che sia sempre possibile avvicinarsi a qualcuno ed essere accolti in uno spazio aperto.
Dovremmo poter festeggiare sempre la nostra scalata e l’orizzonte che vediamo, che vorremmo. Il mio, anche quando è ricoperto da dense nuvole, nasconde e rivela l’azzurro.
Se ora fossi qui, sarebbe più facile sopportare la bufera o la paura di crollare. Ovunque tu sia, pensarti, è andare ad una festa, papà.
Parole d’amore scritte col cuore. Un cuore d’artista raffinata, quello dell’attrice e regista Giuditta Perriera, figlia di un padre capolavoro: l’indimenticato drammaturgo e regista Michele Perriera, protagonista col gotha della letteratura italiana del gruppo ’63. Un movimento che si costituì a Palermo nell’ottobre del 1963, formato da poeti, scrittori, critici e studiosi e definito di neoavanguardia per differenziarlo dalle avanguardie storiche del Novecento e che non ha ancora smesso di rappresentare il termine di paragone, l’ispirazione artistica e letteraria delle generazioni culturali dell’Italia.