Facciata Houthi, regia iraniana, strategia russa. Cina in bilico fra costi e benefici. I lampi di guerra che squarciano le tenebre islamiche dello Yemen, rappresentano soltanto una prima risposta di Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa al piano di destabilizzazione del Medio Oriente e del Mar Rosso che replica su più larga scala la sindrome anti occidentale determinata dalla saldatura fra il revanscismo post sovietico di Putin e quello del fondamentalismo di Teheran.
I bombardamenti chirurgici delle basi dalle quali gli Houthi attaccavano le navi lungo le rotte commerciali per il canale di Suez rappresentano un doppio avvertimento per il regime degli Ayatollah iraniani.
Il monitoraggio satellitare e l’imponente task force aeronavale anglo americana, alla quale sono pronte ad affiancarsi le flotte militari e i caccia bombardieri di vari paesi europei, consentono a Washington e Londra non solo di continuare e amplificare gli attacchi mirati, ma soprattutto di estenderli a tutto il territorio dell’Iran.
Il Pentagono ha confermato che il cacciatorpediniere missilistico USS Carney alle 3,45 ore locali ha effettuato un nuovo attacco utilizzando missili Tomahawk contro “un obiettivo militare specifico” distruggendo una struttura radar delle milizie Houthi.
“Non siamo interessati a una guerra con lo Yemen e a un conflitto di alcun tipo. Gli Stati Uniti hanno legittimamente ed esclusivamente colpito obiettivi militari” ha specificato il portavoce della Casa Bianca, John Kirby.
Per l’amministrazione americana gli attacchi, ordinati dal Presidente Biden, hanno esclusivamente lo scopo di evitare una escalation del conflitto in Medio oriente ed eliminare ogni tipo di minaccia alle rotte commerciali nel Mar Rosso, impedendo agli Houthi di continuare a prendere di mira e tentare di abbordare le navi in transito.
Assieme alla marina e all’aviazione Usa hanno preso parte gli attacchi aerei britannici e unità dalla Royal Navy, mentre Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi hanno fornito logistica, intelligence e altro supporto.
Il Generale Douglas Sims, Capo dello Stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi, ha confermato che i bombardamenti finora effettuati hanno provocato la distruzione di buona parte del potenziale missilistico e navale Houthi, impedendo loro di lanciare nuovi attacchi combinati con missili, droni e imbarcazioni contro le navi.
Ad allarmare l’Occidente non é soltanto l’evidente azione di sabotaggio commerciale per la quale sono stati mandati allo sbaraglio gli Houthi, replicanti addomesticati degli incontrollabili talebani dell’Afhganistan, ma la war propagation strategy, il principio dei vasi comunicanti applicato ai conflitti.
Il filo conduttore parte dalla fallita invasione russa dell’Ucraina. Per evitare una mortale sconfitta e guadagnare tempo in attesa delle presidenziali di Mosca e Washington, il Cremlino attraverso Teheran ha fatto riesplodere la guerra fra Israele e Hamas e, sempre mandando avanti gli Ayatollah iraniani, sta provando ad allargare il conflitto al Libano ed allo Yemen per destabilizzare contemporaneamente l’intera area Indo Mediterranea. Con Pechino che attende di capire se per la Cina la destabilizzazione globale comporta solo pesanti conseguenze o anche maggiori guadagni.
Una situazione esplosiva che rischia di sfuggire di mano e provocare un conflitto mondiale. Dai dossier top secret dove fino adesso sono rimasti confinati, trapelano i crescenti timori per una deriva nucleare.
Non soltanto da parte di Israele, tentata di porre fine alla incombente minaccia iraniana che l’ha costretta perfino a difendersi a livello internazionale da paradossali accuse di genocidio, ma anche da parte di Teheran che, grazie a russi e nord coreani, potrebbe disporre di ordigni atomici. Scenari da brividi, con sconvolgenti cui prodest putiniani.