Se qualche extra-terrestre ci sta osservando non potrà fare a meno di vederci come i passeggeri di un transatlantico in rotta di collisione con un iceberg. O, meglio, con uno sciame di iceberg.
La maggior parte di noi continua allegramente a mangiare, bere e ballare; i pochi che intuiscono la gravità della situazione sono tentati dalla disperazione. Confesso di riconoscermi in questa sparuta minoranza. Davanti alla tragedia imminente – questa volta ancora più grave delle prime due Guerre mondiali – mi avverto inerme.
Per questo ho accolto volentieri l’invito di una coppia di giovani amici di intervenire alla III edizione del “Festival filosofico per non filosofi di professione” da loro organizzato a Gibilrossa, sulle colline palermitane (dal 12 al 14 luglio): spero di trovare, nello scambio dialogico comunitario, qualche indicazione.
Personalmente non ho ricette. Tra i pochissimi punti certi è che sia opportuno adottare metodologicamente un sano strabismo: con un occhio guardare la totalità, il macro, con l’altro la particolarità, il micro (a partire dalla propria interiorità).
Tale metodo ha trovato anche una formulazione sloganistica: “Pensare globalmente, agire localmente”.
“Pensare globalmente” perché ormai è evidente che tutto si tiene e che abbiamo bisogno di teorie di ampio respiro, di filosofie a trecentosessanta gradi, di nuove utopie (con tutte le cautele del caso, si potrebbero anche chiamare ideologie).
“Agire localmente”: perché nessuna meta si raggiunge senza il primo passo. E se nessuno lo osa, nessun processo si avvia. Ma il primo passo sarà nella direzione giusta se sarà compiuto con mente illuminata e animo pulito; con saggezza e coraggio; con consapevolezza intellettuale e trasparenza etica. Mi piace chiamare “spiritualità laica” questa costellazione di qualità antropologiche che precedono, e rendono possibile, ogni ulteriore strategia operativa nel piccolo e nel grande.
A chi è più propenso verso la mobilitazione collettiva, va ricordato l’invito del Gruppo “Alleati dell’Arca”: “Ciò che si vuole per il futuro, bisogna incominciare a farlo subito. Altrimenti si lascia un presente che ha i suoi limiti ma anche la sua qualità, per un futuro ipotetico di cui sono garantite le realtà di sangue con cui si tenta di realizzarlo”.
Viceversa a chi è più propenso a coltivare la propria formazione e i propri micro-progetti, ma rinunzia ad alzare lo sguardo sugli orizzonti planetari perché troppo scuri e minacciosi, vanno ricordate le righe di Antonio Gramsci vergate nel carcere fascista: “Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare é ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò é vero sino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e, se questo cambiamento é razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile”.
Nessuna contrapposizione di principio, dunque, fra lavoro sulla propria soggettività (e nella cerchia dei propri amici) e tensione verso una trasformazione del “sistema” globale.
Che l’umanità si salverà solo mediante un’inversione di rotta radicale è ormai evidente, ma é altrettanto evidente che tale inversione rivoluzionaria per essere efficace dovrà passare per una catena di riforme, di sperimentazioni, di innovazioni pionieristiche all’insegna della “nonviolenza”, sulla scia di Gandhi, Martin Luther King, Capitini.
Come ha scritto nel 1942 Georges Friedmann, “numerosi sono quelli che si immergono interamente nella politica militante, nella preparazione della rivoluzione sociale. Rari, rarissimi quelli che, per preparare la rivoluzione, se ne vogliono rendere degni”.