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Rubrica di critica recensioni anticipazioni
by Antonino Cangemi
Per la sua posizione geografica, la Sicilia è stata sempre luogo di incontro di civiltà, culture e anche credi religiosi diversi. Il che ha reso i siciliani – miscuglio di varie etnie – inclini al dialogo, all’accoglienza, al confronto.
L’ultimo libro di Augusto Cavadi, saggista palermitano prolifico e poliedrico, riflette lo spirito aperto dei siciliani. Il titolo è Dio visto da Sud, il sottotitolo La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi, è edito da Spazio Cultura ed è arricchito della postfazione di Don Cosimo Scordato, teologo di sottile intelligenza e acuta lungimiranza ma anche, per lunghi decenni, prete di frontiera nei quartieri poveri di Palermo.
“Dio visto da Sud” è una raccolta di articoli pubblicati quasi tutti sull’edizione palermitana di Repubblica in un arco di tempo che racchiude, a partire dall’inizio del 2000, quasi un ventennio.
Spesso simili raccolte peccano di disomogeneità. Ciò non si palesa in “Dio visto da Sud” per la continuità e il nesso tra gli argomenti trattati e per le “cornici” che fanno da cerniera ai brevi saggi esplicitando i punti che li accomunano.
Sono diversi i temi affrontati nel saggio, distinti in appositi capitoli.
A cominciare dal rapporto tra una visione retrograda del cattolicesimo e, all’opposto, uno sguardo, scevro da condizionamenti storici e storture interpretative, proiettato al vangelo e al suo messaggio. Su questo fronte Cavadi approfondisce, mettendone in rilievo i limiti anche alla luce di una attenta lettura delle sacre scritture, la morale sessuofoba della chiesa tradizionale e aggredisce questioni spinose come quelle, tra le altre, del celibato dei sacerdoti, delle coppie di fatto e dell’omofobia.
Né Cavadi si sottrae dall’analizzare, con argomentazioni lucide e rigorose (come nel suo stile), problematiche controverse quali quelle dell’eutanasia. Per poi continuare nella disanima delle relazioni tra la chiesa e il potere politico con una breve escursione sull’incompatibilità tra il vangelo e la mafia, su cui l’autore si è soffermato diffusamente in più di un saggio (“Il Dio dei mafiosi” San Paolo, 2008, “Il vangelo e la lupara” Di Girolamo, 2019, tra gli altri).
La parte più stimolante di “Dio visto da Sud” è quella dedicata alle tante confessioni religiose che dal cristianesimo prendono corpo e, ancor più, al dialogo del cristianesimo con l’ebraismo, l’induismo, il buddhismo. Se la capacità di dialogare con universi religiosi lontani dai nostri è espressione, come si detto all’inizio, della vocazione dialettica della Sicilia e, più in generale, del Sud (da qui il titolo e il sottotitolo del saggio), essa trae forza dalla laicità che ispira gli scritti di Cavadi.
Non a caso Cavadi, nel suo saggio, ha cura di spiegare ai lettori il significato del termine “laico” partendo dalla sua etimologia e sottolinea che è “laico” chi “ha orientamenti ideali e valori etici, ma non li brandisce contro nessuno perché, essendo costantemente in ricerca, è disposto a rivederli, correggerli, integrarli, persino rinnegarli qualora li scopra invalidi”. Ed è grazie alla laicità che il dialogo può estendersi anche tra credenti e agnostici e atei.
Dialogo e laicità, dunque, sono strettamente correlati e costituiscono i punti nevralgici delle riflessioni di Cavadi in “Dio visto da Sud”. Non solo: a ben vedere, essi animano l’intera e copiosa produzione saggistica di Cavadi, al punto da far ritenere che le sue pagine di “appassionato” di teologia e di filosofo in pratica sono uniti dal filo rosso della ricerca – mai pretenziosa e sempre “faticosa”, come faticosa è ogni ricerca autentica – di uno spiraglio di verità.